Scritto da Storie

Alberto De Rossi – Generatore di Fenomeni

Una vita creando il futuro
5 min

Ventinove anni, oltre cinquanta ragazzi fatti debuttare con la prima squadra, tra cui due capitani e mezzo, una storia unica. Il cognome De Rossi rimanda inevitabilmente a Daniele, bandiera della Roma. Siamo così sicuri che suo padre, Alberto, sia da meno?

Un articolo su Alberto De Rossi non è mai in anticipo o in ritardo, arriva esattamente quando, concedendoci l’ultimo sguardo, giriamo l’angolo tra un’ultima controllata al navigatore ed un “eccoci qua”, dicendo addio a quella piccola parte della nostra vita.

E magari alla radio trasmettono quel pezzo degli Stadio “Generazione di fenomeni”. Mi ha sempre colpito la strofa: “…trattami come un uomo che non sono un bambino, non mi diverto più. Poi cosa chiedi perdono quando sbaglio io, che cosa c’entri tu. Vorrei soltanto un po’ di tenerezza, magari, solo una carezza e ti costa lo so…”, queste parole mi hanno riportato molto spesso alla figura di Alberto De Rossi, motivo per cui mi accingo a scrivere queste poche righe su di lui.

La scena della macchina che svolta l’angolo l’abbiamo vissuta un po’ tutti, soprattutto quando lasciamo la casa dei genitori e la nostra adolescenza per percorrere la tortuosa strada che è il mondo dei “grandi”. C’è chi vive la partenza con un velo di malinconia e chi lo considera un momento adrenalinico. C’è anche chi, come colui che scrive, si sente quasi annaspare tra un “non vedo l’ora” ed un “ma dove vado?!”.

Questa scena è quella che invece vive molto spesso un giovane ragazzo costretto ad uscire di casa e svoltare l’angolo perché non può fare altrimenti se vuole continuare il suo sogno da calciatore. Dopo ventinove anni, dopo intere generazioni e per la prima volta, Alberto De Rossi non vedrà più il suo calciatore svoltare l’angolo ma sarà lui a farlo, salutandoci con il suo sorriso rassicurante, per aprire un capitolo nuovo della sua vita.

Vocazione

Dopo quasi trent’anni Alberto De Rossi ha deciso di terminare la sua esperienza da allenatore delle giovanili della Roma. Un tempo veramente molto lungo, poco più di un quarto di secolo al servizio di una sola squadra. Ripercorrere la carriera di Alberto De Rossi, oltre ad essere un prosopopeico esercizio di stile fine a sé stesso, nulla aggiunge e nulla toglie alla sua immagine.

Avete presente quando parlando di “vocazione” ci raccontavano la storiella della chiamata? Quella chiamata improvvisa a cui non si può assolutamente dire di no. Ecco, con Alberto De Rossi la storia non è poi così tanto diversa. Una chiamata effettivamente è arrivata ed è stata quella di Bruno Conti. Solo che al primo tentativo De Rossi non risponde perché era in spiaggia ad Ostia, però poi sappiamo tutti come è andata a finire. 

Per De Rossi rimanere tanti anni alla Roma è stato abbastanza semplice, per via dell’attaccamento, a suo dire viscerale, a Roma e alla Roma (ricordiamo che è stato anche un giocatore giallorosso senza riuscire ad esordire in prima squadra). De Rossi sceglie di restare anche perché consapevole del suo ruolo cruciale per la Roma ed è lo stesso storico Presidente Sensi che glielo fa capire. De Rossi rappresenta l’antitesi perfetta di quel filone che considera l’operare nel settore giovanile una rampa di lancio per la propria carriera e che in questo contesto molto spesso i giovani rappresentano le pedine del proprio “credo” calcistico. 

La prima squadra di De Rossi è la leva calcistica del 1984, quella di Aquilani, Corvia e Ferronetti (per citare i più famosi). Con quei Pulcini rimarrà per qualche anno, arrivando a vincere un titolo nazionale Giovanissimi. La stessa classe che ritroverà al primo anno di Primavera (anno 2003/2004), di quella squadra è rimasto qualcuno, altri hanno intrapreso strade diverse, pochissimi sono già in prima squadra. 

Da lì seguiranno 3 scudetti (2005, 2011, 2016), 2 Coppe Italia (2012 e 2017) e 2 Supercoppe Italiane (2012, 2016). Qualcuno azzarderebbe a definirlo bottino magro per uno dei migliori settori giovanili in Italia, eppure, la Roma, così come De Rossi, ha sempre avuto un solo obiettivo: portare quanti più giovani nel mondo professionistico. Alla fine del lungo percorso, possiamo contare oltre 50 giocatori fatti esordire con la maglia della prima squadra, tra cui 2 capitani (quasi 3, addirittura 4).

Deontologia DeRossiana

Da sempre tendiamo ad associare a ogni allenatore un termine per sintetizzare il suo modus operandi, nascono così i concetti di “credo”, “filosofia”, “scuola” e, per i più audaci, “Vangelo”. Ad Alberto De Rossi proviamo ad assegnare il concetto di deontologia. La deontologia è quel complesso di regole, espressione di precetti morali, che ordini professionali si autoimpongono al fine di disciplinare, tra le altre cose, l’esercizio della professione.

L’accostamento con il mondo del calcio, per quanto azzardato, può avere la sua valenza. Allo stesso modo, potrebbero esserci dei dettami che disciplinano norme di condotta dentro e fuori dal campo, che avrebbe a che vedere anche il rapporto tra i calciatori, la dirigenza, nonché con la stampa e i tifosi. 

Partiamo con il dire che De Rossi esige dai suoi ragazzi la massima professionalità, suoi giocatori devono comprendere i valori del lavoro e del sacrificio, devono comprendere che la Primavera è la rincorsa prima del salto triplo nel mondo del professionismo. Devono avere la consapevolezza, inoltre, che in ogni momento loro rappresentano “l’ordine” della Roma, con colori, stemma e storia annessi.

Per certi aspetti è lo stesso allenatore a definire la Primavera una vera e propria Prima squadra, in quanto strutture, tecnologie e metodi sono assimilabili al mondo dei grandi. In particolare, a detta sempre di De Rossi, gli allenamenti non sono imposti ma condivisi con giocatori ed un intero staff di professionisti a loro disposizione. 

Il proprio obiettivo professionale dichiarato, in linea con la volontà della società, non è quello di vincere, ma di portare quanti più ragazzi in prima squadra. Un obiettivo certamente ambizioso ma che la Roma, attraverso soprattutto De Rossi, è riuscita a centrare costantemente negli ultimi anni. Come è riuscita la Roma ad essere così costante? Si è sempre pensato che il calcio sia fatto di cicli, vero, che i talenti possono essere concentrati in una generazione e saltarne le due successive, anche questo vero.

La costanza della Roma risiede nella capacità di far crescere ragazzi come uomini e come professionisti, non ci si ferma alla tecnica o alla tattica ma anche alla costruzione di una personalità. Le abilità tecniche o l’intelligenza tattica sono aspetti importanti per un calciatore ma ancor di più il possedere “strumenti” che possano permettere di superare le avversità tipiche del percorso di crescita, soprattutto per tra i grandi. E nel formare professionisti già nel settore giovanile la Roma punta ad accompagnare i ragazzi attraverso questo percorso.

Il mister ha poi rivelato che esistono tre momenti: l’emozione, la preoccupazione e la gioia. L’emozione di vedere il ragazzo che alleni scendere per la prima volta con la maglia della Roma allo Stadio Olimpico, sino allora magari calcato solo per accovacciarsi dietro i cartelloni pubblicitari a fare i raccattapalle. La maglia ha la classica numerazione alta, poco importa, i colori sono quelli giusti. 

C’è il momento della preoccupazione, il momento più delicato. Il ragazzo ha fatto il suo esordio, e ora? Un esordio può condensare in pochi minuti una moltitudine di incognite, c’è chi ha fatto doppiette e chi è stato espulso. Un esordio può incidere in maniera profonda una carriera, può confondere i giudizi, aumentare esponenzialmente l’autostima e, al contrario, eliminare ogni certezza che il ragazzo ha acquisito fino a quel momento. Un ragazzo, però, va accompagnato comunque vada, non va semplicemente buttato in campo, va utilizzato con raziocinio, valorizzandone i pregi e migliorando i difetti.

I ragazzi della Primavera, inoltre, hanno questa deontologia derossiana, ossia questa guida da seguire che permette loro di ricordare gli insegnamenti del mister e tutti quegli allenamenti decisi insieme a quest’ultimo. Un bagaglio da portare sempre con sé, anche quando il futuro è lontano da Trigoria. Sono molti, infatti, i ragazzi cresciuti da De Rossi che si sono affermati altrove, salvo poi tornare alla Roma maturi, qualcuno è riuscito anche a prendere la fascia da capitano. 

Infine c’è la gioia, o meglio, il sentimento di soddisfazione misto a emozione perché i sacrifici e il lavoro di tutti pagano e l’obiettivo è raggiunto. Capisci che ormai il ragazzo ha trovato il proprio posto (a Roma o altrove) e non ha più bisogno di quelle particolari attenzioni. 

A proposito di attenzioni, Alberto De Rossi ha ammesso di non amare particolarmente la parola educatore, eppure quella dell’educatore è un’implicazione naturale per chi lavora a stretto contatto con i giovani. Ne sono testimonianza le numerose dichiarazioni dei suoi ex calciatori, i quali riservano ringraziamenti al loro vecchio allenatore e il più delle volte lo definiscono un secondo padre. Secondo la deontologia derossiana l’essere scambiato come padre non rientra in un rapporto professionale, ma, volendo trovare una scappatoia, De Rossi, ha sempre svolto il suo compito secondo la diligenza del buon padre di famiglia, anche nelle situazioni che lo richiedevano. 

Del resto, se l’obiettivo è quello di formare uomini, questo passa anche da insegnamenti di valori e virtù o da semplici “sanzioni disciplinari”, proprio come un genitore fa con il proprio figlio. Proprio come padre e figlio, questo rapporto continua anche, tornando all’incipit, quando gli allievi salutano il mister, chi seguendo il sogno di diventare calciatore e chi vuole entrare nel mondo del lavoro. De Rossi ammette di essere rimasto in contatto con molti dei suoi ragazzi, chi vuole condividere i traguardi raggiunti, chi chiede consigli, altri solo per un saluto. Di più non sappiamo perché la deontologia derossiana prevede il più classico dei suoi precetti, ossia il segreto professionale.

Padre e Figlio

Il discorso della vocazione e delle chiamate ha provato a ripetersi almeno un paio di volte, forse tre, sono quelle della prima squadra, percorso sperato per un romano romanista quale Alberto De Rossi. Ma in prima squadra c’è suo figlio Daniele. Daniele è il capitan futuro, il vice di Totti. Non avrà lo status di quest’ultimo ma ha sempre avuto il suo peso specifico nel calcio romano e globale. Alberto sa bene tutto questo e sceglie di non sedersi sulla panchina, conscio della moltitudine di pressioni che si sarebbero create nei confronti del figlio. Pressioni che si sarebbero create dal nulla, abituato com’è l’ambiente romano a ricamare su questioni di poco conto. 

Sono parole sincere di un padre premuroso che vuole proteggere il figlio ma che al contempo tradiscono il suo essere attento alla professionalità ed alla Roma. Si va al di là del mero rapporto padre-figlio, si avvertiva anche la necessità di tutelare il secondo giocatore più importante della Roma. Anche qui la deontologia derossiana quasi prende il posto del sentimento paterno, infatti il suo non è un rifiuto, ma una scelta consapevole, anzi, un atto d’amore per la Roma. 

Fenomeno tra generazioni di fenomeni

Non andrà lontano Alberto De Rossi, lo troveremo ad Ostia, casa sua, in particolare su quella spiaggia che ha sempre rappresentato il suo posto nel mondo, oltre alla Roma.

Lo rivedremo dietro la scrivania da “responsabile sviluppo e formazione allenatori squadre nazionali” della Roma, chiamato a condividere la sua esperienza nell’ipotesi di trovare uno come lui che sappia dedicare una vita intera a guardare al futuro lavorando sul presente, tra tecnica ed umanità. Un ruolo che sembra essere cucito su di lui. 

Perché quando parliamo di De Rossi e di Roma ci viene spontaneo pensare a Daniele, ma siamo così sicuri che Alberto non abbia alcun titolo per stare al suo stesso livello? Il mondo giovanile è elitario quindi meno conosciuto, ma non per questo meno importante nelle dinamiche di una società. Alberto De Rossi è un fenomeno tra generazioni di fenomeni.

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