Scritto da Storie

Alex Del Piero al quadrato

Cronistoria del campione bianconero
6 min

È l’8 Novembre 1998, Alex Del Piero ha appena giocato la miglior stagione della sua carriera e domani compirà 24 anni. È a un centimetro dal conquistare il mondo, tanto gli è mancato ad Amsterdam con la Juventus e in Francia con la Nazionale. Sembra essere soltanto questione di tempo, è già stato votato due volte quarto al Pallone d’Oro (1995 e 1996) e anche in questa stagione la palma di miglior giocatore al mondo gli sfuggirà unicamente per mano di Ronaldo o, più probabilmente, del compagno alla Juve Zinedine Zidane, appena laureatosi campione del mondo.

E invece, per quanto possa sembrare strano, questi ultimi tre anni resteranno l’apice della carriera individuale di Del Piero. Nonostante l’appartenenza di club, infatti, l’asso italiano ha appena scoperto di avere molto più in comune con l’attaccante verde-oro che non con Zizou.
Quattro mesi prima, proprio alla vigilia della finale mondiale, Ronaldo soffrì una crisi epilettica e, da quel giorno, non è più stato lo stesso giocatore, il Fenomeno. A Del Piero è appena accaduta la stessa cosa: un lancio leggermente troppo lungo, la voglia di voler comunque colpire quel pallone e il ginocchio salta. La diagnosi è impietosa: rottura dei legamenti crociati anteriore e posteriore.
Non sarà mai più lo stesso giocatore.

La storia

Torniamo indietro di quattro anni, è il 4 Dicembre 1994 e la Juventus si trova improvvisamente orfana di Baggio che, per un problema al ginocchio, dovrà stare lontano dai campi tre mesi. Questo significa, finalmente secondo alcuni, più spazio per Del Piero.

L’enfant prodige bianconero non si fa certo pregare e alla prima occasione utile segna il goal più bello della storia della Juve, per giunta contro i rivali di sempre della Fiorentina, primo e mai perdonato amore del Divin Codino. La doppietta contro la Lazio sette giorni più tardi sancisce il passaggio di consegne, che diventerà definitivo in estate con la cessione di Baggio al Milan e la maglia numero 10 sulle spalle di Del Piero.

Nel 1995 il calcio sta subendo una doppia rivoluzione, sul piano tattico con l’influenza del tecnico olandese Van Gaal e su quello regolamentare con la legge Bosman che entrerà in vigore solo pochi mesi più tardi. In Italia sono gli anni di Sacchi, di Capello e, ovviamente, di Lippi che ha appena sostituito Trapattoni sulla panchina bianconera.

È il calcio della tattica che si impone sulla tecnica, dell’atletismo che sta per avere la meglio sull’estro. In poche parole: non è più il calcio dei numeri dieci. Questo hanno in testa alla Juve quando scelgono di puntare su Del Piero, considerato un’evoluzione post-moderna dello stesso Baggio, un giocatore più potente, più esplosivo, più cattivo sotto porta e, soprattutto, nettamente più funzionale.

Nella sua prima stagione da protagonista, però, Del Piero dimostra di essere unicamente un grande solista offensivo, molto incline al dribbling e più che altro dedito a punire le difese avversarie a ogni occasione buona.

Alex Del Piero festeggia l'ultima Champions vinta dalla Juventus
Alessandro Del Piero con l’ultima Champions League vinta
dalla Juventus (📷/Icon Sport)

Per sua fortuna, la fisicità fuori scala del centrocampo juventino permette al tridente Ravanelli-Vialli-Del Piero – con quest’ultimo che parte largo a sinistra – di concentrarsi solo sui goal e questi, puntualmente, arrivano. Quarantacinque in tre per l’esattezza, che non bastano per avere la meglio sul Milan in campionato, ma sono sufficienti a conquistare la seconda e, tutt’ora, ultima Champions League della storia bianconera, anche grazie ai 6 goal e 2 assist di Del Piero che dimostra sin da subito di avere un feeling particolare con questa competizione.

L’Europeo 1996 vede Del Piero al centro delle polemiche – non sarà certo l’ultima volta con la Nazionale – ma in questo caso lui e la sua posizione in campo sono soltanto l’oggetto delle critiche rivolte al CT Arrigo Sacchi. Secondo i più, la posizione di esterno sinistro nel classico 4-4-2 dell’allenatore romagnolo lo allontana troppo dalla porta avversaria, impedendogli di incidere come ci si sarebbe aspettati.

Per assurdo però, la pessima esperienza europea con gli Azzurri, si rivelerà fondamentale per permettere al gioco di Del Piero di fare un primo salto di livello. Un’evoluzione necessaria dal momento che, nel “liberi tutti” del mercato estivo, alla Juventus si è appena accasato il miglior trequartista in circolazione.

Nella stagione 1996/97 i bianconeri cambiano veste passando ad un 4-3-2-1 che vede Del Piero impiegato da trequartista sinistro, la nuova stella Zidane sul centro-destra e Vieri unica punta. Emerge da subito tutto un altro giocatore: l’ex stellina del Padova è ora più coinvolto nel gioco e molto più funzionale, finalmente disposto a mettere la sua notevole capacità polmonare e fisica al servizio della squadra tanto in fase di costruzione quanto in quella di copertura.

La Juve torna così a vincere il campionato e gioca un’altra finale di Champions League nella quale Del Piero, pur partendo dalla panchina e subentrando col Dortmund già avanti 2-0, fa in tempo a segnare, di tacco, il più bello dei suoi 15 goal stagionali, il decimo nella massima competizione europea.

La stagione, iniziata come un periodo di transizione in cui la Juventus si sarebbe dovuta adattare a Zidane e viceversa, da gennaio si trasforma invece in un’annata trionfale in cui Zizou gioca come mai in carriera – né prima, né dopo – e che solo una finale sfortunatissima riesce a rovinare.

In Serie A, in particolare, i bianconeri viaggiano a velocità di crociera, segnano tutti: 8 goal a testa per le punte Vieri, Padovano e Del Piero, a cui si aggiungono i 6 di Boksic e i 5 del transalpino, oltre ai 4 di Amoruso e Ferrara. Del Piero, dal canto suo, fa uno step di crescita importante, accettando il ruolo di secondo violino in una squadra che, da gennaio in avanti, è sembrata essere più di Zidane che sua.

Nell’estate del 1997 arriva un altro turning point con una partita che vale la pena citare.
Italia-Brasile al Tournoi de France, una sorta di Confederations Cup ante litteram.

Maldini & Cannavaro's double tackle on Ronaldo
Paolo Maldini e Fabio Cannavaro in tackle simultaneo
su Ronaldo (📷/Getty Images)

Ci sono tanti motivi per ricordarla, è una gara bellissima, finisce 3-3 e ci regala la celebre foto che ritrae Maldini e Cannavaro lanciati in una doppia scivolata sul Fenomeno, ma è più di tutto la prima sfida tra Ronaldo (21 anni) e Del Piero (23 anni), quella che tutti vogliono vedere la stagione successiva in Serie A. Per lunghi tratti della partita è letteralmente un 1v1 a distanza fra loro due, segnano entrambi e continuano a volere la palla, un po’ sui piedi, un po’ in profondità, alzando sempre l’asticella delle giocate, quasi a volersi sfidare.

E la sfida arriva, eccome se arriva. Ronaldo segna 25 goal al primo anno in maglia nerazzurra, Del Piero risponde con 21 reti e una squadra troppo più forte: la Juventus si laurea nuovamente campione d’Italia con cinque punti di vantaggio sull’Inter.

In estate i bianconeri avevano lasciato partire Vieri sostituendolo con Inzaghi, capocannoniere uscente, e Lippi, durante tutta la stagione, opterà per un 4-3-1-2 con Zidane a giostrare alle spalle di Del Piero e dello stesso Inzaghi. Una disposizione che si rivela estremamente offensiva con Di Livio e Torricelli molto larghi sugli esterni in fase di spinta a renderlo quasi un 3-4-1-2.

L’insistenza di Lippi nello schierarli tutti insieme viene premiata quando a gennaio arriva Davids che, con la sua corsa e il suo dinamismo, rende i tre davanti sostenibili anche in transizione difensiva. L’olandese gioca una grandissima stagione a differenza di Zidane che, troppo discontinuo e decisamente meno efficace dell’anno precedente, lascia per la prima volta la squadra completamente nelle mani di Del Piero.

Ecco il secondo salto importante nella carriera di Alex che, scaricato da Lippi dei compiti di costruzione e copertura, è finalmente libero di attaccare come meglio crede. Svaria, si allarga, crea per i compagni e, soprattutto, per sé stesso.
Diventa un giocatore di 1v1 dominante, un ottimo rifinitore e un finalizzatore letale: l’evoluzione del numero dieci è completa.

Del Piero è il miglior giocatore della miglior squadra d’Europa, gioca una Champions League ai limiti dell’immaginabile segnando 10 goal e fornendo 4 assist, di cui 4 (2) nelle semifinali con il Monaco di Henry e Trezeguet. Perderà nuovamente la finale, questa volta contro il Real Madrid, e un mese dopo perderà anche i quarti del mondiale, ai rigori, con la Francia padrona di casa. Ed è solo il mondiale eccelso giocato da Zidane – che guiderà i transalpini alla vittoria con una doppietta di testa in finale – ad oscurare, almeno nell’immaginario collettivo, l’altrimenti indimenticabile stagione del compagno bianconero.

Del Piero dopo la rete al Monaco
Del Piero dopo la rete al Monaco in semifinale di Champions League (📷/Getty Images)

È l’inizio della nefasta stagione 1998/99, Del Piero con 20 reti è già il miglior marcatore della storia della Champions League e dopo tre annate entusiasmanti è pronto a raccogliere i frutti di quanto seminato. Purtroppo, l’infortunio gli negherà per sempre questa possibilità.

L’analisi (dell’ultima stagione del vero Alessandro Del Piero)

Guardando le partite di quella stagione, a maggior ragione avendo negli occhi il giocatore che sarà post-infortunio, la prima cosa che si nota è la sua vertiginosa tensione verticale. Del Piero, infatti, non è un giocatore che esercita il suo controllo sulla partita – certamente più ceiling raiser che floor raiser – ma è un pericolo costante e costringe la retroguardia avversaria sempre in affanno.

La forza che sprigiona nella corsa è incredibile, il campo sembra in discesa per la facilità con cui attacca la porta avversaria, ma a stupire più di tutto è il suo totale controllo del corpo e del pallone: nonostante i terreni non perfetti gioca ad una velocità inaccessibile per gli altri ventuno in campo e non perde mai l’equilibrio, pur sembrando sempre in procinto di cadere. Del Piero è una seconda punta moderna, imprendibile nel breve e, allo stesso tempo, in grado di reggere l’urto dei difensori grazie a un baricentro basso e a un fisico già strutturato.

Ciò nonostante, non ama ricevere centralmente e spalle alla porta, ma al contrario predilige cercare spazio sull’esterno, quello sinistro in particolare, sia per attaccare ferocemente la profondità sia per ricevere sui piedi dopo un contro-movimento. La sua esplosività nei primi metri gli suggerisce, infatti, di allargarsi, dove può trovare più campo da attaccare e puntare il diretto avversario in velocità. Il suo dribbling non è ubriacante, raramente in sur place, ma è secco e potente; il suo avanzare non è elegante, ma brutale, al punto da sembrare quasi irrefrenabile.

Del Piero converge verso il centro, accelera, punta il difensore obbligandolo a correre verso la sua porta e, non appena scorge il mal capitato leggermente fuori asse, lo lascia sul posto. Può andare via a destra come a sinistra, è indecifrabile. Su tutti mi viene in mente la giocata stellare con cui siede Diawara e poi regala ad Amoruso il pallone da spingere in rete per chiudere la pratica Monaco al Louis II.

Il dinamismo e l’esplosività, persi in seguito all’infortunio, gli offrono anche la possibilità di creare più separazione e, di conseguenza, linee di passaggio più dirette ed efficaci per i compagni. Difatti, nonostante la sua abilità in rifinitura venga spesso sottovalutata in questo frangente – forse perché è un passatore istintivo e, quindi, spesso impreciso – il livello dei suoi assist mette in luce una visione di gioco di prim’ordine.

Il tiro in porta invece, per fortuna, sarà lo stesso per tutta la carriera ed è ciò che gli ha permesso di rimanere un giocatore elitario, pur con una mobilità decisamente più limitata. Il suo calcio è pulito, potente e preciso, la proverbiale capacità di coordinarsi in un fazzoletto fa il resto. I celebri “goal alla Del Piero”, in questo caso, sono più un limite che un elogio per un fondamentale che ha avuto pochi eguali nella storia del calcio.

Il Del Piero visto nel 1997/98 era molto vicino ad essere l’arma offensiva definitiva, magari meno raffinato di Baggio, ma più capace di incidere ad alti livelli e molto più adatto al calcio contemporaneo. Un numero dieci moderno, che non ci stupiremmo di vedere in campo ancora oggi, anche perché allora – proprio come Ronaldo – sembrava essere vent’anni avanti a tutti per la velocità supersonica a cui pensava ed eseguiva le giocate.

All’alba della stagione 1998/99 Del Piero e Ronaldo sono indubbiamente sul podio dei migliori giocatori al mondo assieme a Zidane, il più classico e discontinuo dei tre, ma lo stesso che, per volere del fato, avrà il prime più longevo. Bell’ossimoro.

Alex Del Piero e Ronaldo
Alessandro Del Piero e Ronaldo (📷/Allsport UK)

La sfortuna, infatti, ci ha negato la possibilità di vivere una rivalità storica, tra due campioni assoluti: Del Piero e Ronaldo avrebbero avuto una chance – il secondo anche due o tre – di essere Messi e Cristiano vent’anni prima di Messi e Cristiano.
Non è andata così e se anche a voi, quando Del Piero compare in televisione, sembra che tutti lo trattino con una riverenza quasi eccessiva – diversa persino da quella riservata a Maldini o Totti – da oggi saprete che è semplicemente il frutto di quel rispetto che ci si sente in dovere di portare verso qualcosa che poteva essere, ma non è stato.

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