Dopo un girone superato con il vento in poppa, ci si chiedeva quando potessero arrivare le prime difficoltà per la nazionale di Mancini e come i ragazzi avrebbero potuto reagire, ma in pochi si aspettavano che il banco di prova più arduo sarebbe stata la selezione austriaca già agli ottavi di finale.
Si è rivelata una partita lunga, fisica e dispendiosa, in cui gli Azzurri hanno faticato in entrambe le fasi. Tuttavia, alla fine è arrivata la vittoria ai supplementari, soprattutto grazie ai nuovi innesti messi in campo dal CT.
L’opposizione austriaca
Il CT austriaco Franco Foda ha impostato la propria strategia per il match su un classico senza tempo per le squadre sfavorite sul piano tecnico: ha cercato un confronto duro, basato sull’intensità, per trascinare nel fango una sfida contro un avversario qualitativamente superiore.
Osservando le partite del girone azzurro, ha capito che aspettare l’Italia regalandole la tranquillità nel palleggio è un mezzo suicidio e ha optato per una partita basata sui duelli individuali, puntando a negare le classiche fonti di gioco e la pulizia del fraseggio palla a terra. Il dato che riassume al meglio la durezza dell’incontro è quello dei 300 duelli avvenuti nel corso dei 120 minuti, di cui 141 vinti (45%), quando nelle prime tre partite il dato non aveva mai superato i 180 duelli, con gli Azzurri sempre sopra il 50% di successi.
Dal punto di vista più squisitamente tattico, l’Austria ha optato per una linea di pressione di cinque uomini a centrocampo molto compatta, con l’obiettivo di schermare la ricezione nei mezzi spazi che tante fortune ha portato all’Italia di Mancini. Dunque Foda, rispetto ai suoi predecessori, ha optato per una copertura a zona, cercando di neutralizzare la maggior fonte di pericolo ancor prima che l’azione sia partita.
Il piano di neutralizzazione del gioco azzurro è continuato con il tentativo di togliere dal gioco la nostra fonte principale – Jorginho – a cui è stata dedicata una marcatura a uomo specifica, spesso a carico di Sabitzer, e la costruzione di una gabbia di uomini per evitarne le ricezioni e le rapide riaperture dalla zona centrale. Il pallino del centrocampo è dunque passato sulle spalle di Verratti, spesso poco lucido e frettoloso nelle verticalizzazioni. Significativo in questo senso l’ingresso di Locatelli a metà ripresa, che non ha stupito come contro la Svizzera, ma ha dato fisicità e ordine al centrocampo azzurro.
Le difficoltà degli Azzurri sono state particolarmente evidenti ad inizio ripresa, quando la precisione è calata sono saliti notevolmente sia il nervosismo per una partita fisica che non si sbloccava, sia il livello di intensità degli avversari. Contro una pressione significativamente più feroce e senza il proprio faro di gioco coinvolto nell’azione, la precisione dei passaggi italiani è calata dall’89% del primo tempo all’81% della ripresa.
Ad onor di cronaca, questo tipo di aggressività è stato anche favorito da un arbitro molto permissivo, che ha mancato qualche fischio e soprattutto qualche cartellino sugli interventi in ritardo. Inoltre, lo sforzo profuso dagli austriaci è stato pagato a fine match, quando l’Italia ha ripreso il pallino del gioco e del centrocampo
Le soluzioni
A questo punto sono state principalmente tre le variazioni tattiche che ha presentato l’Italia nella fase di possesso. Innanzitutto, Mancini ha tentato una carta a sorpresa invertendo le posizioni di Insigne e Spinazzola, con il primo spesso largo a sinistra e il secondo nel mezzo spazio sinistro.
Questo potrebbe aver avuto due motivazioni principali: la prima era allargare Dragovic verso l’esterno, la seconda combattere il raddoppio sistematico dei quasi omonimi Lainer e Laimer sull’esterno della Roma, che tanto bene aveva fatto nelle prime partite. La sua prestazione è stata comunque positiva anche nella nuova posizione ma non paragonabile all’incisività delle sue fiammate sulla fascia, dove Insigne ha faticato a saltare l’uomo in una serata poco lucida anche a causa del lavoro richiesto in fase di copertura.
A proposito di 1vs1 sulla fascia, la soluzione tattica che avrebbe permesso di crearli eludendo i raddoppi di Laimer&Lainer in situazione dinamica è stata utilizzata troppo poco, anche a causa delle caratteristiche degli interpreti. Infatti, vista la pressione del solo Arnautovic sulla linea di difesa in fase di non possesso, sarebbe stato fondamentale lo sganciamento dei braccetti d’impostazione, in particolar modo sulla fascia sinistra, dove Acerbi avrebbe dovuto costringere Laimer ad una scelta tra l’avanzamento del centrale italiano e il raddoppio sull’esterno della Roma.
Un po’ per sue caratteristiche un po’ per una forma fisica che non è sembrata delle migliori, il centrale della Lazio ha mancato questa lettura, assumendo una posizione larga ininfluente per la linea di pressione austriaca. In questo senso, potrebbe rivelarsi molto utile l’inserimento di Bastoni, abituato a far quel tipo di azione nell’Inter (come già sottolineato nel pezzo sulla sfida contro il Galles), soprattutto se le prestazioni difensive di Acerbi dovessero continuare a non essere delle migliori.
Ultima soluzione alla compattezza della linea di pressione austriaca, e probabilmente la più interessante, ha riguardato l’altro braccetto d’impostazione azzurro, Giovanni Di Lorenzo. Per aggirare il castello centrale degli avversari sarebbe stato fondamentale lo sganciamento del terzino del Napoli, largo sulla fascia destra a formare il vertice esterno del triangolo con Jorginho e Barella e fungendo così da muro per la comunicazione tra i due. In questo modo, la linea viene aggirata e la mezzala azzurra può ricevere nel tanto agognato mezzo spazio alle spalle del centrocampo austriaco. Anche questa giocata è stata sfruttata troppo poco dalla squadra di Mancini, con i due braccetti che sono rimasti spesso troppo passivi.
La solita questione: l’ampiezza
Giunti al quarto episodio delle nostre analisi, è ormai evidente che ci sia un difetto che non ci ha mai abbandonato nel corso delle varie partite: l’ampiezza sulla fascia destra. Quello che finora è sembrato un pelo nell’uovo nelle prime due buonissime prestazioni di Berardi, si è manifestato come un problema palese nella partita con l’Austria. L’esterno del Sassuolo si è accentrato troppo e troppe volte, congestionando gli spazi per le punte e per Barella, che a sua volta non si è mai allargato sulla fascia per dare ampiezza.
Specialmente contro una difesa a quattro, una spaziatura così mal fatta limita moltissimo la manovra azzurra che quando porta sulla larghezza del campo tutti i suoi interpreti offensivi, costringe i terzini a delle situazioni di inferiorità numerica a cui devono reagire in poche frazioni di secondo. Inoltre, Berardi si è dimostrato nuovamente troppo indeciso in zona gol sprecando quelle situazioni in cui era stato trovato il corretto posizionamento.
Al contrario, Chiesa fa della capacità di dare grande ampiezza una sua forza e sin dalla fine del primo tempo è sembrata evidente la necessità di cambiare le due ali d’attacco, anche perché nei minuti a cavallo dell’ingresso del centrocampista della Juventus, avvenuto all’81esimo, in ben due occasioni è andato in atto il preludio del gol. Nella prima occasione, il taglio di Pessina ha costretto Alaba alla diagonale, lasciando Berardi libero di colpire sul secondo palo, dove Mimmo ha tentato una difficile acrobazia. Ad inizio supplementare, lo stesso scenario si è ripetuto ma la palla non è arrivata sul secondo palo.
Pochi minuti più tardi, il copione ha avuto finalmente la sua recita trionfale: Spinazzola nel mezzo spazio, taglio di Belotti che attrae il centrale di difesa e taglio di Pessina che costringe Alaba alla diagonale, liberando totalmente la fascia dove Chiesa da ampiezza. Ottima lettura e pallone dell’esterno della Roma verso lo juventino, che controlla, dribbla, e scarica in rete il gol che sblocca il match. Che sia arrivato definitivamente il momento dell’ingresso del numero 14 nell’undici titolare?
L’aspetto mentale
Al di là dei discorsi tattici, un macro-tema della partita offensiva degli Azzurri è stata la mancanza di precisione nei momenti chiave. Soprattutto nel primo tempo, sono state molteplici le occasioni in cui l’Austria ha concesso lo spazio per far male ma gli uomini di Mancini hanno mancato l’esecuzione della giocata decisiva, sia a livello di controlli che di passaggi che di scelte. Questo potrebbe essere dovuto alla tensione per una partita ad eliminazione diretta che mancava da cinque anni per l’Italia e che rappresentava la prima vera sfida da dentro o fuori per il corso targato Mancio.
Nella prima occasione, la palla, non impossibile, di Barella è troppo lunga mentre nella seconda è Immobile a sbagliare il controllo lanciato in porta. Nel terzo fotogramma, il raddoppio su Spinazzola ha portato ad una ricezione pulita al limite per Insigne che può crossare al centro dove c’è un 3vs3 oppure, come accade, passare al limite dell’area dove però Barella non ha gli istinti della punta e resta schiacciato. Nell’ultima azione, si vede la grande pressione sulla palla degli austriaci ma anche la poca lucidità dei nostri dato che Spinazzola cerca un filtrante complicato invece di servire Verratti, liberissimo sulla sua destra. Tante occasioni potenziali sprecata per imperfezioni.
La fase di non possesso
Contrariamente alle partite del girone, la squadra di Mancini è sembrata poco convincente anche nella fase di non possesso: il pressing è sembrato disunito e poco organizzato, in particolare nella prima pressione. Sono state lasciate troppe ricezioni pulite ai creatori di gioco dell’Austria (Grillitsch e Sabitzer), con Barella e Immobile che sono sembrati i due più in difficoltà.
La fatica incontrata in questa fase di gioco viene sottolineata anche dalle statistiche, più precisamente dal PPDA che è stato di 14.5, un valore altissimo, in particolare se confrontato a quello della gara contro il Galles, che era stato di 8. Un altro problema che si è creato a centrocampo è stato un evidente squilibrio tra Jorginho-Verratti e Barella, con i primi due troppo spostati sulla sinistra e Barella in alto e fuori posizione in pressione.
Complessivamente in questo Europeo abbiamo dimostrato di essere molto capaci in pressione, in particolare nella riaggressione immediata, ciò ci permette di creare tante situazione in cui renderci pericolosi.
Se lo facciamo male però si creano dei buchi enormi che ci si può permettere contro squadre di caratura tecnica non eccelsa come le quattro sfidate fino ad adesso, ma che contro squadre importanti come il Belgio che hanno tantissima qualità sulla trequarti con giocatori come De Bruyne e Hazard potrebbero costarci molto care. Sarà proprio la qualità della nostra pressione a decidere il quarto contro il Belgio?
Abbiamo scritto anche l’analisi tattica di Italia-Turchia, Italia-Svizzera e Italia-Galles.