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Una doverosa premessa
Quando sento parlare di “gioco di posizione”, il mio cervello, di riflesso, produce un’immagine di Pep Guardiola, riportandomi con la mente a quegli anni vissuti tra le scuole medie e il liceo, quando guardavo stralunato quella macchina perfetta che fu il suo Barcellona, con Xavi e Iniesta meravigliosamente protagonisti.
O almeno, questo è ciò che succede nel cervello di un amante del calcio come me, se fossi uno scacchista penserei a quella strategia il cui obiettivo è quello di migliorare gradualmente la propria posizione invadendo il territorio nemico per ottenere un vantaggio di spazio e riducendo le opportunità dell’avversario; una strategia difensiva, insomma. Non è un caso, infatti, che quando il calcio prenderà questo concetto per traslarlo ai propri paradigmi lo assocerà a un sistema di gioco speculativo e conservatore, l’esatto opposto rispetto alla considerazione odierna.
A questo punto è fondamentale sottolineare una caratteristica precisa di questa filosofia di gioco fin troppo incompresa: il gioco di posizione non è né difensivo, né offensivo; è entrambe le cose allo stesso tempo, con buona pace di Parmenide. Fase difensiva e fase offensiva sono microcosmi di un sistema fluido in cui si attacca per difendersi e si difende per attaccare.
Dopo questa doverosa premessa, approfondiamo e cerchiamo di capire meglio di cosa parliamo quando parliamo di gioco di posizione.
Che cos’è il gioco di posizione
Il gioco di posizione è un modello di gioco il cui obiettivo è la ricerca della superiorità attraverso il controllo del pallone. La regola fondamentale di questa filosofia – da cui il nome – ha a che fare con un cambiamento nel modo di vedere il pallone: è il pallone che si muove verso una posizione, e non il giocatore a muoversi verso il pallone. Queste posizioni non sono immutabili, bensì dipendono da diverse variabili quali l’organizzazione della squadra avversaria, dove si trova il pallone o chi ha il pallone. Si tratta pertanto di un modello di gioco estremamente flessibile che richiede giocatori prima di tutto dotati di grande intelligenza calcistica.
I diversi tipi di superiorità
L’obiettivo del gioco di posizione è quindi generare superiorità, nello specifico quattro tipi di superiorità: numerica, posizionale, qualitativa e socio-affettiva.
Superiorità numerica: è la più comune e la più nota, consiste nell’avere un numero superiore di giocatori rispetto all’avversario in una determinata zona di campo.
Superiorità posizionale: Per superiorità posizionale si intende un vantaggio che si crea attraverso una migliore collocazione dei giocatori in un determinato spazio indipendentemente dal numero di giocatori della propria squadra e degli avversari. Come nell’esempio sotto, tale superiorità può essere ricercata anche in una situazione di inferiorità numerica.
Superiorità qualitativa: Con superiorità qualitativa si intende quella superiorità che la squadra riesce a creare mettendo un giocatore nelle condizioni ideali per esprimere tutte le proprie qualità, ancor meglio se contro un avversario che può essere facilmente messo in difficoltà. L’esempio più classico è la creazione di un 1vs1 con un giocato estremamente abile in queste situazioni.
Superiorità socio-affettiva: La superiorità socio-affettiva ha a che fare con la maniera di relazionarsi dei giocatori. Due giocatori che si trovano molto bene – magari perché giocano insieme da anni, magari perché parlano la stessa lingua calcistica – si relazionano meglio degli avversari e sono capaci di creare superiorità. È una superiorità psicologica.
Niente vieta che queste 4 superiorità possano create anche all’interno della stessa azione, come successe nel gol del 2-0 di Pedro nella storica manita del Barcellona al Real Madrid:
Attaccare per difendersi, difendersi per attaccare
Il passaggio è il caposaldo del gioco di posizione. In questo sistema di gioco ogni singolo passaggio ha un’intenzione e un obiettivo: il passarsi la palla tanto per farlo è l’antitesi naturale del GdP.
Per questo motivo, chi confonde questa filosofia di gioco con il noto e sempre più criticato tiki-taka ci ha probabilmente capito ben poco, e questo vale per appassionati, opinionisti, o addirittura anche allenatori, molti dei quali troppo spesso nell’ultimo decennio hanno cercato di emulare il Barcellona di Messi e compagni semplicemente chiedendo ai propri giocatori di passarsi la palla inerti, senza piglio, senza obiettivi, soltanto per il gusto di farlo e per arrivare al termine della gara compiacendosi del numero alto nella colonnina del possesso palla.
Guardiola era infatti il primo critico del tiki-taka, come ha spiegato nel libro Herr Pep scritto da Martí Perarnau:
“Detesto il passarsi la palla per il gusto di farlo, detesto quel tiki-taka. È spazzatura senza alcuno scopo. Devi passare la palla con una chiara intenzione, con l’obiettivo di farla entrare nella porta avversaria. Non si tratta di passare per il gusto di farlo. Non credete a quello che dice la gente: Il Barça non ha fatto il tiki-taka! È una completa invenzione! Non credete a una sola parola!”
In quanto fulcro del sistema, il passaggio deve necessariamente seguire delle regole ben precise. Per capire al meglio queste regole dobbiamo necessariamente passare prima per una delle celebri frasi di quel genio che era Johan Cruijff: “Se hai la palla devi rendere il campo il più grande possibile, e se non hai la palla devi renderlo il più piccolo possibile”.
Rendere il campo il più grande possibile quando si ha la palla significa sfruttare al massimo l’ampiezza – solitamente con i terzini, ma sta diventando sempre più comune farlo con gli esterni alti come ravvisabile nel Manchester City odierno, o addirittura in maniera asimmetrica con un terzino e un esterno alto come fa il Milan di Pioli – per allargare le maglie avversarie e avere più controllo del pallone al centro del campo grazie al fraseggio sullo stretto.
In fase offensiva avere tanti giocatori vicino non solo rende più facile il fraseggio e il dominio del pallone, ma serve anche per attirare la pressione avversaria e trovare il terzo uomo, ossia un giocatore libero da qualsiasi marcatura. Il terzo uomo viene ricercato soprattutto alle spalle della linea di pressione rivale per il consolidamento del possesso e la creazione della superiorità, ma può essere anche uno strumento letale per andare a rete.
Rendere il campo più piccolo possibile invece significa stringere le posizioni ed essere racchiusi in pochi metri quando non si ha la palla. È qua che capiamo al meglio ciò che sottolineavo all’inizio riguardo alla fluidità e alla co-esistenza di fase offensiva e fase difensiva nel GdP: la fase offensiva è la prima arma della fase difensiva perché avere tanti giocatori vicino per scambiarsi il pallone permette una riaggressione immediata con tanti uomini in zona palla nel momento in cui si perde il possesso. Si potrebbe quasi dire che il possesso palla è un pretesto per posizionare gli uomini al meglio in vista della fase difensiva.
Oggi è sempre più comune sentir parlare di gegenpressing o riaggressione, ma non esiste riaggressione possibile senza una strutturazione adeguata degli uomini nella fase di possesso. Questo è la seconda idea dopo quella del tiki-taka che troppi allenatori nell’ultimo decennio hanno cercato di emulare senza avere ben chiare le regole non scritte che soggiaciono a questi principi di gioco.
Versatilità
Come abbiamo visto, spesso si confondono il dominio del pallone (tiki-taka) e il gioco di posizione. A causa di questo errore viene talvolta mossa la critica che si tratti di un modello di gioco eccessivamente integralista; niente di più lontano dalla realtà. La versatilità e la capacità di trovare soluzioni alternative in base al contesto sono caratteristiche intrinseche a questa filosofia di calcio.
Non ci sono posizioni fisse, le posizioni dei giocatori dipendono dal pallone e dal rivale. Infatti, l’intenzione principale non è quella di muovere la palla, bensì di muovere l’avversario, costringerlo a una scelta e punirlo occupando lo spazio creatosi dal suo movimento. Per questo motivo, nel GdP i giocatori con la palla e i giocatori senza palla hanno la stessa importanza, perché ogni movimento ha un impatto sul comportamento avversario e ha il potenziale per creare spazi e trovare giocatori privi di marcatura.
Xavi, cervello del Barcellona di Guardiola e oggi allenatore dell’Al-Sadd, in un’intervista ha detto: “io intendo il calcio come spazio-tempo. Se un giocatore si trova in uno spazio in cui è libero allora avrà più tempo per pensare; se ha più tempo per pensare allora diventa molto più pericoloso”.
Per comprendere al meglio questi concetti non c’è esempio migliore del primo Barcellona di Pep Guardiola, stagione 2008/2009. Il modulo di base era il 4-3-3, quello che permette di creare più triangoli e di dare più linee di passaggio al portatore di palla; sia chiaro: non esiste un modulo universalmente valido, Cruijff, per esempio, schierava il suo Dream Team con un 3-4-3.
Concentriamoci sul – fenomenale – tridente di quella squadra: Eto’o centrale, Henry a sinistra e Messi a destra. C’è però una partita specifica che segnerà inevitabilmente il calcio del decennio successivo: non può che giocarsi al Bernabeu, non può che essere il Clásico. Abbiamo detto che il GdP è un modello di calcio versatile che si adatta all’avversario e cerca di sfruttarne i difetti per creare superiorità; quel Real Madrid, allenato da Juande Ramos, giocava con un 4-4-2 piuttosto difensivo con Cannavaro e Metzelder da difensori centrali, i quali erano poco propensi a lasciare la propria posizione per marcare gli avversari, schermati da Gago e Diarra.
Considerando schema di gioco e caratteristiche dei giocatori appare evidente che ci fosse dello spazio centralmente tra le linee di difesa e centrocampo, perciò Guardiola spostò per l’occasione Messi dalla sua posizione di esterno destro per ricoprire una posizione più centrale, a metà tra trequartista e centravanti: il famoso falso 9.
Ora rileggete la dichiarazione di Xavi e immaginatevi un giocatore più pericoloso di Messi con spazio e tempo per pensare. Esatto: non esiste.
Il falso 9 è soltanto uno dei tanti esempi di versatilità del gioco di posizione, ma è probabilmente quello che meglio lo esemplifica poiché nasce per creare superiorità numerica e qualitativa sulla base di un difetto strutturale della squadra avversaria.
Le zone del campo
È ormai evidente l’importanza che il gioco di posizione dedica allo spazio. Per questa ragione, per convenienza e per rendere più chiari i concetti, il campo può essere suddiviso in diverse zone come nell’esempio qui sotto.
Il campo viene diviso in 5 corridoi centrali, due dei quali stanno diventando di capitale importanza nel calcio di oggi: i mezzi spazi (quelli in rosso).
È fondamentale che in fase di possesso vengano occupati tutti e 5 i corridoi centrali, specialmente i mezzi spazi perché sono quelli che suscitano più dubbi agli avversari: in una difesa a 4, a chi spetta uscire in aggressione sul giocatore nel mezzo spazio? Al difensore centrale o al terzino?
Inoltre, ogni corridoio può essere occupato da un numero massimo di giocatori; per esempio, le zone esterne non possono essere occupate da più di due giocatori, sta quindi all’intelligenza individuale dei giocatori e alla comprensione dei principi del GdP capire dove e quando muoversi: se per esempio un giocatore stringe la posizione dall’esterno all’interno del campo, un compagno (teoricamente quello più vicino) deve fare il movimento opposto, così da non perdere potenziali linee di passaggio e per tentare di confondere gli avversari che nel seguire queste rotazioni potrebbero lasciare qualche buco che può essere attaccato.
Un tale numero di regole può indurre a credere che si tratti di un modello di gioco che limita e opprime la libertà dei giocatori, ma in realtà è un sistema che le esalta e che vive di individualità pur proponendo un calcio prettamente corale.
L’idea è quella di inserire i giocatori in un contesto perfettamente collaudato, cosicchè si possano esprimere al massimo delle proprie capacità perdendo meno tempo possibile nel pensare a cosa fare; per esempio, se il portatore di palla sa sempre come sono messi i compagni non dovrà perdere tempo alla ricerca di una linea di passaggio perché saprà già a memoria quali opzioni ha, il suo processo mentale potrà allora focalizzarsi liberamente solo su quale giocata fare e su come farla.
Conclusione
Il gioco di posizione è quindi un modello di gioco altamente contraddittorio e allo stesso tempo coerente essendo un modello minuziosamente razionale ma non opprimente verso la fantasia, un modello rigido nei principi ma fluido nella pratica, un modello che combina estetica ed efficacia, che però necessita di una profonda comprensione e accettazione da parte di ogni singolo giocatore presente in campo altrimenti rischia di portare molti più danni che benefici, come si è visto fin troppo spesso negli ultimi 10 anni.