Partiamo dalla fine: Haaland non mi piace. Non è elegante, non è raffinato tecnicamente, non è estraneo agli errori e, ancor di più, non mi trasmette nulla di magico, di creativo, di stordente quando lo guardo giocare. Eppure, non riesco a non esserne attratto per come sia in grado di mettere continuamente in discussione la definizione stessa di talento e per come ce lo rinfacci compiaciuto ogni qualvolta sbatte un pallone in fondo alla rete con quel suo sinistro tanto potente quanto grezzo.
Ogni sua accelerazione è uno schiaffo all’estetica applicata al calcio, ogni suo stop un gancio al mento di tutti i talenti classici di questo mondo. Ma davvero vogliamo vivere in un mondo in cui Erling Braut Haaland può essere più forte e più impattante di un Paulo Dybala o un Eden Hazard? La mia risposta credo sia chiara, ma se non lo fosse, riavvolgiamo il nastro: Haaland è il villain di questa storia.
In un calcio entropico, follemente dinamico e sempre più votato alla ricerca ossessiva della verticalità, la pulizia tecnica perde la sua importanza lasciando spazio agli errori che diventano via via sempre più accettati e accettabili in nome del potenziale che essi racchiudono. Nove stop sbagliati e un goal saranno sempre più preferibili rispetto a dieci belle giocate senza goal. È quindi, un po’ a sorpresa, una deriva in parte anche analitica quella che permette ad Haaland di essere un giocatore così incisivo nel calcio di oggi.
Nella stagione in corso, l’attaccante norvegese sta completando la miseria di 1.51 passaggi in avanti per novanta minuti, a fronte di ben 1.62 contribuzioni a partita (1.35 goal e 0.27 assist).
Sì, tranquilli, avete letto bene. Non so sinceramente cosa potrebbe spiegare più accuratamente il concetto di cui sopra.
Haaland – Ronaldo: un paragone
I numeri, in relazione all’età, sono fuori da ogni logica eppure potrebbero non essere sufficienti a spiegare l’impatto generazionale che questo ragazzone – figlio d’arte – rischia di avere sul calcio mondiale. Per fare un paragone sensato siamo costretti a tornare indietro di venticinque anni per scomodare il Fenomeno.
Ronaldo, infatti, fu la macchina perfetta per distruggere le difese degli anni Novanta, logorate dai cambi apportati alla regola del fuorigioco e rese più fragili dalla transizione, più o meno definitiva, verso la difesa a zona. Immarcabile in 1v1 e allo stesso tempo inaccorciabile per l’esplosività, senza precedenti, con cui attaccava la profondità: il brasiliano era un rebus irrisolvibile per le difese di quegli anni.
Allo stesso modo, Haaland rischia di essere l’arma perfetta per mettere in ginocchio le difese di oggi, troppo alte sul campo per contenere la sua progressione nello spazio, troppo poco strutturate fisicamente per reggere il suo impatto fisico in area di rigore. Di nuovo, non c’è soluzione, la coperta rimane necessariamente troppo corta. Da quando è in Germania sono 5 goal su 5 tiri dentro l’area piccola e 0.4 goal per tiro allargando ai sedici metri, il totale fa 23 goal nelle prime 22 partite di Bundesliga. Record ogni epoca, ovviamente.
Lo stile
Il modo in cui attacca la profondità merita però un approfondimento, se vi dovesse capitare fate caso a come chiami sempre il passaggio nello spazio ai suoi compagni, che sia a metà campo o dentro l’area di rigore. Non riceve mai staticamente, non è mai passivo. L’accelerazione è impressionante e le leve lunghe gli permettono di creare separazione in pochi metri, dopodiché si volta verso il passatore rallentando accuratamente la corsa per evitare di finire oltre la linea e poi esplodere tutta la sua velocità senza mai staccare gli occhi dalla palla. Se notate, tiene sempre il busto parallelo alla linea di corsa proprio per non perderla mai di vista.
Al contrario, la porta spesso nemmeno la guarda, sa perfettamente dov’è, deve solo decidere come battere il portiere in uscita. E qui, Haaland sorprende per la varietà tecnica con cui sa concludere in porta, una caratteristica quest’ultima che lo rende pressoché infallibile (25 goal con 13.91 expected goal a disposizione, significa 1.8 di xG conversion in stagione).
Rasoterra incrociati, palloni alzati sul primo palo, portieri scartati, scavetti col piede debole, non esattamente quello che vi aspettereste da un centravanti di quelle dimensioni.
Ogni suo gesto è sì sgraziato, ma allo stesso tempo contiene una coordinazione quasi meccanica, ai limiti del naturale. L’equilibrio e il controllo del corpo che riesce a mantenere durante tutta la durata della corsa sono impressionanti e denotano la quantità incredibile di lavoro che ha dovuto sostenere per raggiungere questo livello.
Emblematico il goal siglato contro lo Schalke. Haaland scarica verso Sancho poco oltre la metà campo e comincia la sua progressione implacabile, continuando sempre a guardare il compagno con la coda dell’occhio.
Arriva al limite dell’area, rallenta la corsa, orienta il corpo per prepararsi a ricevere e in un tocco solo anticipa il difensore e si aggiusta il pallone per calciare. A questo punto, senza nemmeno guardarlo, scavalca il portiere con un tocco sotto dolcissimo, di destro ovviamente, e chiude la partita. Niente di stupefacente, come sottolinea il telecronista tedesco: “Non è una questione di se, ma di quando segnerà”.
Questa sensazione di ineluttabilità è la stessa che ho provato quando ho avuto la fortuna di vedere dal vivo LeBron James asfaltare il campo in transizione: sai che ti sta venendo addosso, ma non puoi fare letteralmente nulla. È troppo forte, troppo veloce e ha troppo controllo, sa già cosa sta per succedere.
Chi è Haaland
Concludendo, Haaland non è l’attaccante perfetto in senso assoluto – per quanto, migliorando il colpo di testa (un solo goal con questo fondamentale in Bundes) non ci andrebbe nemmeno troppo lontano – ma è semplicemente l’attaccante migliore possibile per exploitare tutte le falle dei sistemi difensivi odierni e mandarli in cortocircuito. L’attaccante norvegese, infatti, non è nient’altro che il frutto della degenerazione del calcio moderno, il figlio illegittimo dell’estremismo giochista di cui siamo vittime, è il villain perfetto per il nostro calcio, quello che ci costringerà a rimettere tutto in discussione ed evolverci.
L’unico modo per fronteggiarlo sembra infatti essere quello di snaturarsi, prediligendo altri tipi di difensori, grossi e ruvidi, scegliendo di buttargli addosso dei corpi, che è realisticamente l’unica cosa che si possa fare per fermare uno così, uno che sembra essere davvero venuto dal futuro.
E per una volta no, non mi sento di esagerare, così come non esagerava chi lo diceva proprio venticinque anni fa riferendosi a un ragazzino brasiliano che stava devastando l’Eredivisie.
Ronaldo era Mbappé in un calcio che andava in slow motion rispetto ad oggi. E tra venticinque anni probabilmente nemmeno Haaland sarà, o sarebbe, più un essere umano così esageratamente fuori scala, ma per adesso non sembrano davvero esserci i mezzi per fermarlo, se non rimettendo in discussione l’intero sistema di pensiero che ci ha condotti a questo modo di giocare a calcio.