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Europeo 1972: la finale Germania Ovest – URSS

Come distruggere un avversario applicando una vera rivoluzione
12 min

Siamo a Bruxelles per la finale dell’Europeo 1972. Da una parte la Germania dell’Ovest, legata alla NATO, dall’altra l’Unione Sovietica, leader del mondo comunista. È uno scontro tra culture, uno scontro tra fazioni che combattono una guerra senza battaglie ed è, semplicemente, uno scontro tra grandi giocatori. La partita scenderà come una cortina di ferro sulla storia del calcio: da una parte il passato, dall’altra il dominio tedesco.

È sempre affascinante quando calcio e storia si mescolano in un prodotto unico, in cui la seconda si specchia e prende forma antropomorfa nel primo. Nella prima tappa del nostro viaggio, abbiamo visto come l’Italia del Metodo, quella di Pozzo, fosse il perfetto punto d’incontro tra il calcio al suo massimo livello e l’uomo nuovo italiano, sempre al centro dei pensieri e della propaganda di Mussolini.

Il nostro articolo che racconta il Calcio Basco, sottolinea come le furie rosse, che devono il proprio nome all’azione erculea del basco Belauste alle Olimpiadi del 1920, fossero particolarmente amate dal caudillo Francisco Franco che, pur odiando e tentando di eliminare i baschi, aveva colto in quella squadra e in quella regione lo spirito dell’uomo spagnolo.

Corriere della sera celebra il trionfo azzurro
Erano tutti un po’ più “Libero”, all’epoca (📷/Corriere della Sera)

La cornice storica dell’Europeo 1972

Gli anni ’70 sono una polveriera culturale, che viaggia sulle note avanguardiste delle contraddizioni. Da un lato c’è la Guerra Fredda, ovvero il fiato costante della morte che ricorda a tutti che con un passo falso, il mondo finisce. Dall’altra, in reazione ad un inizio di secolo che contava due guerre mondiali, ottanta milioni di morti e la minaccia di una terza, c’è l’influenza della Beat Generation, degli Hippie e del movimento pacifista che sottolineano come lo status quo culturale, probabilmente, deve essere cambiato, se non si vuole scomparire alle spalle di un olocausto nucleare, più o meno prossimo.

A metà tra i due mondi, cogliendo il senso della lotta, e a tratti la violenza, della guerra e la voglia di cambiamento dei pacifisti, si colloca un altro fenomeno culturale gigantesco nato a fine anni ’60: quello dei movimenti giovanili, quello della guerriglia urbana e, in taluni casi, quello del Terrorismo. Gli anni ’70 vivono nell’equilibrio molte flebile di tre spinte antitetiche ma legate, che trascinano l’uomo verso le proprie contraddizioni.

Tuttavia, non è solo la guerra ad essere messa al centro del dibattito ma l’intero sistema di valori su cui la civiltà occidentale borghese è costruita. Sul banco degli imputati ci sono la religione, i confini e l’avidità materiale, come meravigliosamente rappresentato da un cantautore inglese che quegli anni, assieme al suo gruppo, li ha segnati come pochi altri hanno segnato la propria epoca.

È John Lennon, che nell’ottobre 1971 pubblica Imagine, il suo inno laico:

Imagine there’s no countries, it isn’t hard to do 

nothing to kill or die for and no religion too

Imagine all the people Living life in peace

Quel movimento partito dalla costa Ovest degli Stati Uniti trova terreno fertile nella città continentale da sempre simbolo dell’apertura al cambiamento e alla libertà di pensiero: Amsterdam, la città del razionalismo pre-illuminista di Spinoza. Negli anni ’60 del novecento, la città dei canali è, per usare le parole dell’anarchico inglese Charles Radcliffe, la capitale della ribellione giovanile.

Iconica è la reazione dei giovani olandesi al matrimonio della futura regina Beatrice con Claus von Amsberg, aristocratico tedesco che aveva servito nel Wehrmacht, l’esercito di Hitler, cosa che agli olandesi non è che piacesse molto. Le proteste derivanti causarono un intervento eccessivo della polizia e portarono ad un clima di tolleranza verso il nuovo, consegnando la capitale olandese a quel movimento culturale che voleva soverchiare tutto ciò che era stato prestabilito.

Il centro del movimento sarà Dam Square, che diventerà il punto d’incontro degli hippie di tutta Europa. Non è un caso che sarà proprio nell’Hilton Hotel di Amsterdam che John Lennon e Yoko Ono festeggiano nel 1969 il proprio matrimonio con la settimana del Bed-In, con cui protestano per la Guerra del Vietnam.

John Lennon e Yoko Ono
Peace and Love (📷/Hulton Archive)

Né tantomeno è un caso che proprio dalla capitale olandese partirà la rivoluzione del calcio totale, grazie a Rinus Michels, Johan Cruijff e l’Ajax, fondato ad inizio secolo a pochi metri da Dam Square e vincitore di tre Coppe Campioni consecutive dal 1970 al 1973.

Ajax solleva la coppa campioni in corteo
Rivoluzione (📷/AFP)

Le semifinali: Germania Ovest – Belgio e URSS – Ungheria

Ecco, ad Anversa, venti chilometri dal confine con l’Olanda dei giovani, il Kaiser Franz Beckenbauer si gioca la semifinale del Campionato Europeo 1972: la Germania Ovest, alla prima partecipazione alla fase finale dell’Europeo, affronta i padroni di casa del Belgio. Ad accomunare e dividere queste due selezioni c’è la nazionale azzurra che, nel 1970, aveva eliminato i tedeschi dal Mondiale messicano nella Partita del Secolo all’Azteca, mentre a maggio era stata eliminata da campione in carica proprio dai belgi negli spareggi.

Il Corriere Sportivo critica la prestazione azzurra all' Europeo 1972
Tragedie calcistiche e dove trovarle (📷/Getty Images)

Non si può parlare di prima o seconda semifinale perché gli organizzatori hanno la curiosa idea di fare giocare le due semifinali contemporaneamente con numeri bizzarri: ad Anversa ci fu il tutto esaurito (55699 spettatori), Anderlecht, invece, detiene tuttora il record negativo per una semifinale dell’Europeo (1659 spettatori).

La partita vista da pochi eletti, che probabilmente erano alla radio ad ascoltare anche loro l’altra, metteva di fronte l’Unione Sovietica, che aveva eliminato la Jugoslavia (carnefice dell’Olanda di Cruijff) negli spareggi, e l’Ungheria, che aveva avuto la meglio della Romania solo alla bella di spareggio. Finisce 1-0 grazie ad un bel tiro al volo di Konkov che garantisce all’URSS la terza finale in quattro edizioni disputate.

Nell’altro match, i Diavoli Rossi danno filo da torcere ai tedeschi ma alla fine decide la doppietta di Gerd Müller, due degli 85 gol che kleines dickes Müller, il piccolo grasso Müller, segnerà in quel 1972. La finale, che si disputa il 18 giugno allo stadio Heysel, dunque mette di fronte Germania dell’Ovest e Unione Sovietica.

URSS e Germania Ovest si scambiano i gagliardetti
Ancora una volta, il mondo diviso in due (📷/Getty Images)

È solo una partita di calcio e i giocatori, a giudicare dal loro comportamento in campo, non la reputano nulla più che un’importantissima partita di calcio ma è incredibile come in una sfida possa essere così ben rappresentato un intero periodo storico e culturale.

URSS

Da un lato l’URSS, leader del Patto di Varsavia e di tutto il mondo comunista, è l’unica che può tener testa, fino ai bordi di una guerra nucleare, alle superpotenze occidentali. Tuttavia, il gigante sovietico, sotto la guida di Leonid Breznev, è alle prese con un periodo di stagnazione culturale, sociale e politica: gli anni passano ma l’Unione Sovietica resta ferma in sé stessa, procedendo inesorabile verso il declino.

Al contempo, la nazionale era indiscutibilmente una superpotenza del calcio europeo, che aveva dominato le prime edizioni degli europei e ottenuto un quarto posto ai mondiali del ’66, sconfitta proprio dai tedeschi con una rete del Kaiser. Tuttavia, allo stesso tempo era una nazionale, per quanto sovieticamente ordinata e stakanovista, che giocava un calcio vecchio, poco aggressivo e che, nonostante la presenza di vari giocatori della Dinamo Kiev di Maslov, non aveva assorbito le idee del rivoluzionario tecnico russo.

La grande CCCP stava andando verso il suo declino, che la porterà alla mancata qualificazione ai successivi due mondiali e tre Europei, nonostante l’arrivo sulla panchina del colonello Lobanovs’kyj.

Europeo 1972, le formazioni della finale Germania Ovest - URSS
Da una parte quelli forti e conosciuti, dall’altra l’URSS

La Germania Ovest

Dall’altro lato, la Germania dell’Ovest, nata dalle ceneri del Reich grazie alla volontà delle potenze alleate, sta vivendo il primo periodo di riscatto dalla fine della Guerra per via degli effetti del Wirtschaftswunder, il miracolo economico tedesco. L’industria tedesca ricomincia a spingere l’economia in un regime di bassa inflazione e alta crescita e, come sempre, se vanno bene loro, cresce tutta l’Europa. Come spesso accade nei periodi positivi, il paese diventa un calderone di idee, contraddizioni e personalità che si manifestavano in tutta la loro forza nelle due città simbolo della Germania di allora e attuale: Berlino e Monaco di Baviera.

Berlino Ovest

Berlino Ovest potrebbe riassumere in sé stessa il significato concettuale di contraddizione. Se c’è una città che rappresenta al meglio cosa significa Guerra Fredda è proprio Berlino: distrutta alla fine della Guerra dagli Alleati e da Hitler stesso, nella conferenza di Yalta era stata divisa in quattro zone d’influenza corrispondenti alle quattro superpotenze vincitrici della guerra. Tuttavia, nel 1961 si compie un passo ulteriore, quello definitivo, nella materializzazione della cortina di ferro che divide il mondo in due: è costruito il Muro. Ciò nonostante, Berlino Ovest diventerà una delle pochissime città europee che condivideranno con Amsterdam quell’aria frizzante di rivoluzione e di novità.

La costruzione del muro di Berlino
Another brick in the wall (📷/Getty Images)

Per ricostruire la vita della città e renderla attraente, le autorità tedesche decisero di concedere notevoli agevolazioni ai berlinesi, favorendo un flusso di giovani speranzosi nel Nord della Germania. Berlino diventa dunque una città estremamente effervescente e libera, fino a diventare il centro continentale delle Avanguardie artistiche e musicali degli anni ’80, nonché la capitale europea degli stupefacenti. Divenuto celebre è il soggiorno berlinese di David Bowie, trasferitosi a Berlino per disintossicarsi dalla cocaina e per sperimentare nuovi suoni, da cui nascerà Heroes, pezzo sul Muro e inciso a pochi metri dal Muro. Il soggiorno tedesco, Bowie, lo condividerà con un coinquilino particolare: Iggy Pop

David Bowie e Iggy Pop
Heroes (📷/Far Out Magazine)

Però, Berlino non è solo Guerra Fredda e Avanguardia, ma è anche lo specchio della degenerazione dei movimenti giovanili di quegli anni. I giovani tedeschi, delusi dal fallimento della de-nazificazione e della Sinistra, decisero che lo status quo andava cambiato, anche con la violenza.

Andreas Baader è uno di quei ragazzi che vede nella guerriglia urbana la miccia del cambiamento ma, dopo aver incendiato un magazzino a Francoforte, viene arrestato nel 1968 e rinchiuso nell’Istituto correzionale di Tegel, nella parte francese di Berlino. Qui rimane fino al 14 maggio 1970, quando un gruppo di giovani guidato dalla giornalista d’inchiesta Ulrike Meinhof, fa evadere Baader. Quel giorno, a Berlino, viene fondata la Rote Armee Fraktion (RAF), che sarà protagonista dell’Autunno tedesco, la versione teutonica degli Anni di Piombo.

Monaco di Baviera

Dall’altra parte della Germania, a sud, c’è la vera capitale (non l’ufficiale Bonn) del nuovo stato tedesco: Monaco. La città bavarese è emersa nel panorama tedesco grazie al boom economico, che ha portato in alto la classe media, e ha reso la Baviera il centro della ricchezza monetaria, culturale e calcistica del paese. Sì, perché a Monaco gioca il Bayern che dal 1969 al 1976 vincerà 4 campionati, 2 coppe di Germania e 3 Coppe Campioni consecutive, capitanato da Franz Beckenbauer, leader della nazionale protagonista della nostra tappa. Il Kaiser è il primo grande protagonista della materializzazione della storia nel calciatore.

Franz Beckenbauer

Franz Beckenbauer con la maglia del Bayern
Franz Beckenbauer con
la maglia del Bayern (📷/Guardian)

Franz nasce nella città bavarese l’11 settembre 1945, anno che rappresenta la Stunde Null, l’ora zero, della Germania. Dopo essere passato dalle giovanili del Bayern, diventa presto il simbolo dell’intera città, tremendamente tradizionalista e cattolica. Il Kaiser piace perché è regale dentro e fuori dal campo, con quell’atteggiamento del despota dall’alta moralità che riassumeva lo spirito bavarese, sebbene il soprannome non derivi tanto dal suo comportamento quanto dall’incredibile somiglianza con il sovrano della Baviera dell’Ottocento Ludwig II. D’altronde, un Franz in Germania più che un imperatore non poteva essere. Eppure, il Kaiser era tutto fuorché il puro e casto cristiano che la Baviera voleva lui fosse: a metà anni ’60, Franz mette incinta la fidanzata 18enne ma si rifiuta di sposarla, dichiarando “Viviamo forse ancora nel Medioevo?”. Risultato? È bandito dalle nazionali giovanili.

Oppure nel 1977, quando lascia per la prima volta il Bayern e la Baviera per i dollari dei New York Cosmos di Pelé. La verità è che Beckenbauer sta scappando dall’ennesimo scandalo della sua vita privata: senza aver divorziato dalla moglie Brigitte, il Kaiser sta frequentando la fotografa Diana Sandmann, comportamento che non si addice al capitano della nazionale tedesca. Insomma, il simbolo della cattolicissima Baviera è un uomo che si è sposato tre volte, ha avuto cinque figli, di cui uno fuori dal matrimonio, e ha lasciato la terra natia per i soldi americani e una relazione extraconiugale. Contraddizioni per l’appunto.

Ma in fin dei conti, il Kaiser era il simbolo perfetto perché a quell’aria da imperatore abbinava l’abilità del giocatore generazionale grazie alla prima, e probabilmente più alta, interpretazione del libero offensivo che ripulisce in difesa e si occupa dell’impostazione offensiva. Non a caso tra il ’72 e il ’76, nella corsa ad un Pallone d’Oro che premia quasi esclusivamente giocatori offensivi, Beckenbauer ne vince due e arriva secondo in altrettanti (’74 e ’75), battuto da Johan Cruijff prima e da un sovietico poi, Oleh Blochin, che farà il suo esordio in nazionale pochi mesi dopo la finale dell’Heysel.

Beckenbauer insieme alla coppa campioni a Monaco
Kaiser Franz assieme alla sua vera consorte
(📷/Getty Images)

Altri due protagonisti della Fußballnationalmannschaft, sono due compagni del Kaiser sin dai tempi delle giovanili bavaresi: Sepp Maier e Gerd Müller. Cosa condividono? Il Bayern, un palmares e un fisico non propriamente da adone greco.

Sepp Maier

Sepp è un portiere con un’altezza nella media e abbastanza smilzo ma in porta è Die Katze von Anzing, il gatto di Anzing. Maier è uno dei più grandi portieri della storia del calcio, nonché l’inventore dei guanti moderni, ai fini del nostro racconto è soprattutto un personaggio estremamente anni ’70. Estroverso e spiritoso, porta i capelli lunghi (e a tratti la permanente) tipici del periodo ed è rappresentato perfettamente da due aneddoti: in una partita del ’76 contro il Bochum, Maier si disinteressa totalmente dal match per inseguire un’anatra che in qualche modo era giunta a bordocampo. Inoltre, sembra che finita la carriera, Sepp sia stato un vero e proprio clown nel circo Krone di Monaco, sebbene la storia non sia mai stata confermata. Un matto!

Tuttavia, Maier è anche un professionista esemplare che ha giocato più di 700 partite e sarebbero state molte di più se nel 1979, all’età di 35 anni, una strada bagnata e un incidente che lo portò quasi al Creatore non gli avessero stroncato la parte finale della carriera.

Sepp Maier solleva la coppa del mondo
“Follia al potere” (📷/Getty Images)

Gerd Muller

Al contrario, Gerd Müller è la star meno carismatica di quella nazionale. Schivo e poco raffinato, anche sul campo, Müller inizia la carriera in mezzo a mille dubbi: è piccolino e non ha la forma del calciatore professionista, come testimoniato dal soprannome kleines dickes Müller.
Tuttavia, Gerd segna un’infinità di gol e ogni pallone sporco che viaggia nell’area di rigore finisce in fondo alla rete: 733 reti in carriera in 791 partite, 68 con la nazionale in 62 presenze e 365 gol realizzati in Bundesliga, tuttora record all-time.

Il piccolo grasso Müller vince il pallone 1970 e tra la stagione 71-72 e 72-73 segna 117 gol solo con il Bayern Monaco. Infine, è chiaramente l’MVP dell’Europeo 1972 in cui segna 4 gol tra semifinali e finale.

Gerd Muller corre esultando
Anche l’esultanza è da “pascolatore d’oche” (📷/Getty Images)

In quella nazionale, però, sono due i personaggi che rappresentano dalla testa ai piedi, letteralmente, il proprio tempo.

Paul Breitner

Il primo è Paul Breitner, o meglio Der Afro, per via della sua acconciatura frutto della permanente così terribilmente anni ’70. Breitner è un meraviglioso terzino fluidificante di quel Bayern Monaco, ma chiuderlo in un’etichetta, che sia dentro o fuori dal campo, è come fargli torto.

In campo Breitner ha la gamba dell’ala, i piedi del centrocampista e l’abilità del difensore, tanto che in carriera giocherà ciascuna di quelle posizioni, molte volte all’interno della stessa partita. Fuori dal campo Der Afro è uno dei più grandi personaggi della storia del gioco. A 20 anni, arriva al campo di allenamento del Bayern Monaco, con sotto braccio il Libretto Rosso di Mao Tse-tung, leader del Comunismo cinese, nella tradizionalista Baviera in un paese in cui il Partito Comunista è dichiarato fuorilegge e in cui il nemico è dall’altra parte di un Muro.

Breitner non ha intenzione di nascondersi: in campo, calcia e segna il rigore nella finale mondiale del ’74 contro l’Olanda, mentre fuori esibisce il suo credo come un trofeo e si fa ritrarre in una celebre foto nel suo appartamento con alle spalle le gigantografie del leader cinese e di Che Guevara, simbolo della rivoluzione comunista.

Breitner seduto in casa propria con i ritratti di Mao e Che Guevara appesi alle pareti
Un giocatore rivoluzionario (📷/Getty Images)

Ma Der Afro è la definizione di contraddizione: finito e vinto il Mondiale di casa, il Maoista Breitner si fa comprare dai milioni del Real Madrid, la squadra del Caudillo Francisco Franco, mentre dichiara di non sentirsi tedesco ma cittadino del mondo, cosa che lo porterà all’esclusione dagli Europei del ’76 e dell’80 e al Mondiale ‘78.

A Madrid vincerà da centrocampista due campionati in tre anni contro il Barcellona di Cruijff, prima di essere sconfitto dal Bayern del Kaiser in semifinale di Coppa Campione e di tornare in patria all’Eintracht Braunschweig. Non che l’esperienza duri molto: dopo una stagione da 15 reti, lascia un biglietto battuto a macchina: Ich tue euch jetzt den Gefallen und gehe, “Vi faccio un favore e me ne vado”.

È il momento del ritorno a casa: al Bayern trova Karl-Heinz Rumenigge, con cui vincerà due campionati, una Coppa di Germania e perderà una finale di Coppa Campioni, oltre che centrare un piazzamento al secondo posto nel Pallone d’Oro 1981, alle spalle del compagno. Torna a casa solo dopo la partenza del Kaiser perché due giocatori non potevano essere più diversi, come testimoniato da una splendida foto dei tempi del Bayern.

Breitner e Beckenbauer in tribuna
No, non siamo sul set di Narcos 4 (📷/Getty Images)

L’ultimo grande attore protagonista di quella Germania ’72 è più una star di Hollywood.

Gunter Netzer

Gunter Netzer è l’immagine dello stile degli anni ’70: capello liscio e biondo fino alle spalle, ama le auto sportive, in particolare la sua Ferrari con cui gira per Monchengladbach, è attento alla moda e ha aperto insieme alla sua ragazza un locale chiamato “Lovers”, dove si concentrava il flusso di giovani della Germania centrale.

Gerd Müller lo definì “un anticonformista ribelle nella nazione più conformista e inquadrata del globo. Era un George Best senza il bere. Netzer i locali notturni non li usava per festeggiare, ma per fare soldi”. Guardate queste due foto del tempo: da un lato Netzer, dall’altro James Hunt, grande pilota di Formula 1 ma soprattutto icona dello sportivo bello e modaiolo.

Netzer non è solo iconico fuori dal campo ma anche quando gioca, da centrocampista, nel suo Borussia Moenchengladbach.

Capace di passaggi lunghi millimetrici, Gunter sembra un cavallo selvaggio quando corre palla al piede con i capelli al vento. Dopo due campionati vinti in Germania, diventa la risposta del Real Madrid all’acquisto del Barcellona di Johan Cruijff, con cui vince due campionati assieme a Der Afro.

Nota a margine dell’esperienza madridista, viene invitato al matrimonio di Christina Sinatra, la più giovane delle figlie del celebre Frank, a Las Vegas. Questa sua immagine estetica e rivoluzionaria viene adottata dai giovani intellettuali tedeschi che si avvicinano al pallone vedendo in lui uno di loro. Niente di più sbagliato, tra l’altro, visto che Netzer è una persona estremamente lungimirante e calcolatrice, in contrasto con la forza vitale della gioventù europea.

Il grande problema della sua carriera sarà il suo status: un gallo nel pollaio del Kaiser che nel Mondiale di casa incoraggerà la sua esclusione dalla formazione titolare in favore di Wolfgang Overath.

I due leader si incontreranno di nuovo 30 anni dopo: il Kaiser è il presidente del comitato organizzatore del Mondiale 2006, Netzer, da tempo entrato nel business televisivo a conferma della sua lungimiranza, è a capo della cordata che acquista i diritti televisivi per la competizione berlinese e per la Bundesliga.

La finale dell’Europeo 1972

Quando si parla della finale della Coppa del Mondo 1974, si tende a contrapporre il calcio totale, come il nuovo, il bello e l’esteta, ai tedeschi, cinici, organizzati ed efficaci. In realtà, la Germania ha un gioco estremamente fluido e moderno, basato su due fattori predominanti: tecnica e gamba. Hanno una serie di trattatori di palla superlativi, quali Beckenbauer, Breitner, Hoeness, Netzer e Heynckes, che girano il pallone con grande maestria.

Nonostante ciò, arriva un momento in cui uno dei loro strappa palla il piede e attraverso gli uno-due, che sono il vero marchio di fabbrica della national Mannschaft, creano grandi occasioni da dentro l’area, dove Müller comanda supremo. Contrapponendo il gioco germanico alla lentezza e alla minor qualità dei sovietici si ottiene la finale di Bruxelles 1972: un massacro.

Primo tempo

Al quinto minuto, Netzer parte palla al piede, fa passare il pallone in uno spiraglio per Kremers, che prova a calciare ma viene respinto dalla difesa sovietica; come sempre quando c’è un pallone sporco in area, la palla finisce sui piedi di Gerd Müller e solo un intervento disperato del portiere Rudakov evita l’1-0.

Il ritmo altissimo dei tedeschi e la grande qualità negli uno-due mettono in grandissima difficoltà l’URSS, che dopo due minuti concedono un’altra grande chance: Heynckes, numero 9 dai piedi morbidissimi, passa a Netzer che con un tocco delizioso di esterno, la ridà alla punta che calcia da posizione angolata, costringendo l’estremo difensore russo ad un altro salvataggio.

Altri due minuti, altra occasione: Breitner ara il campo come un Theo Hernandez con la permanente, uno-due con Hoeness e palla in mezzo leggermente troppo lunga per Müller a portiere battuto; trenta secondi dopo, break del Kaiser, scambio con Heynckes, la palla giunge a Kremers che va al tiro, parato in presa platica da Rudakov. Nove minuti e la Germania potrebbe essere 3-0.

Al 14esimo, i tedeschi colpiscono anche una traversa: solita apertura millimetrica di Netzer per Wimmer, che mette sedere a terra Dzodzuashvili, spezza il raddoppio di Kolotov e crossa di destro per l’inserimento di Hoeness che impatta di testa ma la palla si stampa sul legno.

Finalmente la pressione tedesca si concretizza: minuto 27, Beckenbauer prende palla nel cerchio di centrocampo, scarta i due centrocampisti avversari, al limite dell’area verticalizza per Müller che la alza di prima per Netzer. Meraviglioso tiro in semigirata dal limite dell’area che finisce sulla traversa e poi tra i piedi su Heynckess sull’incrocio destro dell’area di rigore. La punta tira un siluro parato dal portiere ma sulla respinta chi vuoi che ci sia se non Gerd Müller? 1-0. Il primo tempo si chiude con un’altra occasione per Heynckess, che colpisce di testa a pochi metri dalla porta, e l’unica occasione dell’URSS: un tiro da 30 metri alzato in angolo da Maier.

Secondo tempo

Le due squadre cambiano la metà campo ma la storia non cambia. Al 52esimo, 13 passaggi a due tocchi di fila della Germania, portano alla verticalizzazione di Heynckess con un morbidissimo esterno destro dietro al difensore e Wimmer incrocia il 2-0 all’angolino destro

Sei minuti dopo, Breitner esce dal tentativo di pressione avversario con un dolce scavetto, Schwarzenbeck, di professione difensore centrale, strappa palla al piede e cede a Müller, che verticalizza al limite dell’area per Heynckess. Il numero 9 chiude il triangolo lungo con il 4, che stoppa di esterno sinistro, se la allunga e arriva, ovviamente, Müller a chiudere in porta di destro: 3-0.

Il resto della partita è una passerella, condita da un paio di occasioni per Heynckess e una traversa sovietica, verso il trionfo della Nazionale tedesca fino al triplice fischio, celebrato dal pubblico tedesco con l’invasione di campo mentre Beckenbauer e compagni scappano verso il podio della premiazione. Il 1972 si concluderà per il calcio teutonico con il Pallone d’Oro del Kaiser, seguito a parimerito dai diversissimi e fortissimi compagni, Gerd Müller e Gunter Netzer.

Quella selezione, così contraddittoriamente anni ’70, segna l’inizio di un’epoca calcistica: quella del dominio della Fußballnationalmannschaft, che si giocherà tutte le manifestazioni internazionali da protagonista fino al Mondiale americano.

Abbiamo scritto anche delle altre edizioni degli Europei: ’68’76’80’84, ’88, ’92, ’96, ’00, ’04’08, ’12, ’16.

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