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Siamo allo stadio Marakàna di Belgrado, dove in scaletta c’è la finale dell’Europeo 1976. Ad affrontarsi, la solita Germania dell’Ovest, campione d’Europa e del Mondo in carica, e la Cecoslovacchia, vice campione del mondo nel 1934 e nel 1962 e alla caccia della prima affermazione internazionale. Lo scontro tra Davide e Golia dà vita ad uno dei match più emozionanti e intensi della storia della competizione, deciso da un gesto di follia per dare una speranza nel cielo di Praga.
Ci sono certi gol che ti lasciano basito, bloccato mentre guardi il televisore e ti chiedi “ma è successo davvero?”. Tante volte a stupire non è tanto il gesto tecnico, a cui si reagisce spesso con un applauso spontaneo, come quando Ronaldo rovesciò all’incrocio allo Stadium, quanto il fatto che qualcuno possa pensare di risolvere un’occasione, una partita o una competizione con un gesto simile: non è tanto l’esecuzione quanto l’idea in sé.
Come può venire in mente a Lamela di risolvere un derby di Londra tirando in rabona? Come può venire in mente a Rivaldo di alzarsi il pallone con il petto per poi rovesciarlo all’angolino? Come può venire in mente a Maradona di anticipare il portiere con la Mano de Dios? Come può venire in mente a Panenka di tirare un rigore che decide un Europeo, potenzialmente la prima competizione internazionale per la Cecoslovacchia, con uno scavetto, il primo in un palcoscenico così importante?
L’Europeo 1976 si gioca in Jugoslavia, il primo paese di matrice comunista ad ospitare una competizione internazionale nel dopo Guerra, e nel momento stesso in cui le quattro protagoniste si qualificano per la fase finale, l’esito sembra scontato.
La Germania dell’Ovest, campione in carica e campione del mondo in casa due anni prima, ha sconfitto la Spagna 2-0 nel ritorno dei quarti in casa, dopo l’1-1 dell’andata, e non può che essere la grande favorita. L’altra grande favorita è l’Olanda che, dopo aver eliminato l’Italia nel girone di qualificazione, ha battuto il Belgio con un complessivo 7-1 nello spareggio. Germania-Olanda, come due anni prima all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, sarebbe lo scontro tra le due squadre più forti del mondo e tra i due giocatori più forti del mondo: Franz Beckenbauer e Johan Cruijff.
Sulla strada delle due superpotenze ci sono la Jugoslavia, padrone di casa e guidata da Dragan Dzajic, e la Cecoslovacchia, grande sorpresa della fase di qualificazione ma che inizia a far aggrottare qualche fronte dopo aver eliminato l’Inghilterra nel girone eliminatorio e l’Unione Sovietica nello spareggio dei quarti.
Le semifinali: Cecoslovacchia – Olanda e Germania Ovest – Jugoslavia
Il 16 giugno allo stadio Maksimir di Zagabria si gioca la prima semifinale proprio tra Cecoslovacchia e Olanda. Negli uomini chiave, gli olandesi sono gli stessi della finale del ’74 ma l’affinità e sincronia che caratterizzava il loro calcio totale si è incrinata: Michels ha lasciato la nazionale e il nucleo dell’Ajax si è rotto con Cruijff e Neskeens emigrati verso Barcellona mentre Rep ha fatto di Valencia la sua casa.
Nei tempi regolamentari fa tutto il centrale difensivo e capitano cecoslovacco Anton Ondruš, che al 17esimo sblocca a sorpresa il match ma, a tredici minuti dalla fine, spinge nella sua porta il pallone dell’1-1. I supplementari sembrano già un’impresa per gli slavi ma al 114esimo Zdenek Nehoda, stella della nazionale e del Dukla Praga, segna il gol del 2-1. Passano quattro minuti e l’altra punta František Veselý chiude il match: 3-1 e terza big del calcio mondiale eliminata dalla Cenerentola.
Davanti a 50 mila persone, a Belgrado tocca alla Germania campione di tutto e ai padroni di casa. I tedeschi sono i grandi favoriti ma, rispetto alla squadra del ’72, hanno perso Netzer, ostracizzato da Beckenbauer, Breitner, in contrasto aperto con federazione e CT, e Gerd Muller, che si è ritirato dalla nazionale a 27 anni dopo il Mondiale di casa. Al posto del centravanti del Bayern, vincitore della terza Coppa Campioni consecutiva a maggio, viene convocato un altro Muller, Dieter, centravanti 22enne del Colonia.
Così come la prima, la semifinale inizia con la sorpresa, una doppia sorpresa: al 19esimo Popivoda supera Beckenbauer con uno stop sontuoso e segna l’1-0 mentre al 32esimo è Dzajic a incornare il 2-0 alle spalle di Sepp Maier. La leggenda vuole che la Jugoslavia abbia venduto la partita per sanare il debito che aveva con Berlino ma ben sappiamo quante volte gli slavi siano caduti sul più bello, morti nella loro bellezza.
Al 65esimo, Flohe accorcia le distanze ma è il cambio di Helmut Schon a decidere la semifinale: a undici minuti dalla fine, mette dentro l’altro Muller che gioca, all’esordio, la partita della vita: segna subito il gol del 2-2, quello che porta la partita ai supplementari, mentre nell’extra-time segna una doppietta che porta i tedeschi in finale. È Germania dell’Ovest-Cecoslovacchia al Marakàna di Belgrado.
La cornice storica dell’Europeo 1976
La storia dello Cecoslovacchia è segnata a doppio filo dal numero 8: nel 1918, il padre della patria Tomaš Masaryk firma il documento che sancisce l’indipendenza e crea lo stato cecoslovacco dopo secoli di dominio asburgico. Grazie al comparto industriale imperiale presente nella zona, il paese vive un ventennio di tranquillità finché sulla regione, e in particolare sulla zona dei Sudeti, mette gli occhi Adolf Hitler.
La pressione tedesca si concretizza nel 1938 con la Conferenza di Monaco: spinte dal leader nazista, le potenze occidentali tradiscono il paese, consegnando la zona dei Sudeti e dando il via ad un rapido processo di erosione dei confini cecoslovacchi, fino all’istituzione del Protettorato di Boemia e Moravia, completamente nelle mani tedeschi.
Finita la Guerra, Cechia e Slovacchia decidono di riunirsi nuovamente sotto la stessa bandiera, riservando un trattamento speciale ai cittadini dell’Asse: circa 2.9 milioni di tedeschi vengono espulsi dal paese alla fine del conflitto. Capirete che quella finale del ’76 non può essere una partita come le altre per il popolo cecoslovacco.
Tuttavia, la fine della Guerra ha un’altra conseguenza: la Conferenza di Yalta ha segnato la divisione del mondo in due blocchi contrapposti e per un paese che fa da ponte tra Occidente e URSS la neutralità non è un’ipotesi. Spinta dalla liberazione dell’Armata Rossa e dal tradimento di Monaco, la Repubblica cecoslovacca entra nel blocco di influenza sovietico.
Dal 1948, l’influenza diventa controllo: il Partito Comunista Cecoslovacco (KSC), sotto guida di Mosca, prende il controllo del paese, iniziando un processo che porta, nel 1960, alla proclamazione della Repubblica socialista Cecoslovacca, satellite dell’URSS.
Il dominio politico sovietico prosegue incontrastato fino al 1968, quando alla leadership del KSC sale Alexander Dubček, un riformatore slovacco dalle idee piuttosto liberali. Lo scopo è dare “un volto umano al socialismo”: bisogna garantire libertà di parola, stampa, religione, assemblea e spostamento. Le riforme sono accolte con entusiasmo dal popolo, portando ad una serie di movimenti di protesta, per lo più di matrice giovanile, contro lo status quo, conosciuti con l’etichetta di Primavera di Praga.
La reazione dell’URSS non si fa attendere e il 21 e 22 agosto, da tutti i paesi satellite sovietici, partono i carrarmati in direzione di Praga, per mettere fine ai moti. È l’applicazione della Dottrina Brežnev: se in un paese di influenza sovietica succede qualcosa, il leader dell’URSS interviene a sua descrizione. Se nella politica il Comunismo si rafforza, la gente mal digerisce l’invasione e crescono le proteste, fino al celeberrimo atto di follia di Jan Palach raccontato splendidamente nelle note di Francesco Guccini nella “Primavera di Praga”
Di antichi fasti la piazza vestita Grigia guardava la nuova sua vita, Come ogni giorno la notte arrivava, Frasi consuete sui muri di Praga, Ma poi la piazza fermò la sua vita E breve ebbe un grido la folla smarrita Quando la fiamma violenta ed atroce Spezzò gridando ogni suono di voce… Son come falchi quei carri appostati, Corron parole sui visi arrossati, Corre il dolore bruciando ogni strada E lancia grida ogni muro di Praga.
Quando la piazza fermò la sua vita, Sudava sangue la folla ferita, Quando la fiamma col suo fumo nero Lasciò la terra e si alzò verso il cielo, Quando ciascuno ebbe tinta la mano, Quando quel fumo si sparse lontano, Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava All’orizzonte del cielo di Praga…
Dimmi chi sono quegli uomini lenti Coi pugni stretti e con l’odio fra i denti, Dimmi chi sono quegli uomini stanchi Di chinar la testa e di tirare avanti, Dimmi chi era che il corpo portava, La città intera che lo accompagnava, La città intera che muta lanciava Una speranza nel cielo di Praga, Dimmi chi era che il corpo portava, La città intera che lo accompagnava, La città intera che muta lanciava, Una speranza nel cielo di Praga…
Francesco Guccini – Primavera di Praga (1970)
Il 19 gennaio 1969 il giovane studente si da fuoco in piazza San Venceslao, per protestare contro l’occupazione sovietica. È un gesto di speranza per un popolo intero, che si unisce nell’atto folle di uomo comune.
Dubček rimane in carica fino all’aprile di quell’anno, quando viene sostituto da Gustáv Husák.
Il nuovo leader dà via al periodo della normalizzazione, ovvero di restaurazione del periodo pre-riforme, ristabilendo il tipico sistema sovietico e portando il paese indietro di vent’anni.
Tuttavia, proprio nei mesi dell’Europeo, verrà redatta la Charta 77, un manifesto firmato da 247 cittadini dissidenti, con cui il governo verrà accusato direttamente per la violazione dei diritti umani.
La Charta darà il via ad un movimento di dissenso che si manifesterà in svariate manifestazioni anticomuniste, la cosiddetta Rivoluzione di Velluto. La prima di esse, la Manifestazione delle Candele, avverrà il 25 Marzo 1988, naturalmente. La rivoluzione porterà alla democrazia prima e alla dissoluzione dello stato poi, con la formazione nel 1993 della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca. Tuttavia, dopo aver fatto un viaggio nella storia cecoslovacca, è tempo di concentrarci sul campo del Marakàna, dove Sergio Gonella sta per fischiare l’inizio della finale 1976.
La finale dell’Europeo 1976: Germania Ovest – Cecoslovacchia
Primo tempo
L’inizio del match dà il chiaro segnale che la Cecoslovacchia non è a Belgrado per fare la fine dell’Unione Sovietica di quattro anni prima. Nel diluvio del Marakàna, i cechi mettono in campo tutta la loro intensità e i due centrali di centrocampo Móder e Dobiaš si schiacciano sulla linea dei difensori, impedendo ai tedeschi le loro triangolazioni.
All’ottavo minuto, la prima svolta del match: Vogts prova a liberare l’area da un’azione tambureggianti dei cecoslovacchi ma si allunga troppo il pallone, Masný raccoglie dentro l’area e serve un cioccolatino a Švehlík sul dischetto. La punta cerca il secondo palo, Maier effettua una gran parata ma la palla resta lì per Nehoda, che crossa al centro dove Švehlík spinge il pallone in porta: 1-0.
Da quel momento in poi, la Germania alza la pressione e crea molte occasioni ma i cecoslovacchi si difendono bene e ripartono con efficacia, generando una partita bellissima con continui cambi di fronte.
Un minuto dopo il gol, Bonhof batte in mezzo un calcio d’angolo, dove due tedeschi anticipano il portiere ma, disturbato dal compagno, Muller colpisce alto. Al 12esimo, Beckenbauer, arrivato alla 100esima presenza con la maglia della nazionale (solo il nono giocatore a riuscirci al tempo), dà palla a Muller al limite dell’area con un filtrante che taglia il campo in due; la punta controlla e infila uno splendido pallone per Beer, che calcia forte ma sul corpo del portiere cecoslovacco Viktor, che compie il primo di una serie di grandissimi interventi.
Al 26esimo, tocca di nuovo a Bonhof su palla da ferma con il tiro che sibila a fianco al palo. Quattro minuti e Viktor è costretto ad un altro miracolo: Hoeness crossa al centro, velo geniale di Beer e Hölzenbein si trova a tu per tu con il portiere; apre il piattone e piazza la palla verso l’incrocio dei pali, ma il braccio di richiamo del cecoslovacco la alza sopra la traversa.
I tedeschi sono nel momento di massima pressione ma, come spesso accade, tocca di nuovo ai cecoslovacchi il cambiamento nel risultato: al 25esimo viene battuta una punizione dalla sinistra, respinta della difesa tedesca, Dobiaš controlla e incrocia con il mancino una palla che termina la sua corsa nell’angolino destro.
La grande Germania dell’Ovest è nuovamente sotto 2-0, come nelle semifinali. Ma non è finita qua: passa poco meno di un minuto e da un lancio di Móder, Švehlík si trova di fronte a Maier; tiro incrociato e la palla fa la barba al palo destro. La Germania ha dominato nel gioco e nelle occasioni ma la Cecoslovacchia potrebbe essere avanti 3-0.
Tuttavia, i tedeschi han già dimostrato di non mollare mai e al 28esimo iniziano la loro rimonta: Wimmer infila per Bonhof, che crossa in mezzo un pallone morbido per Dieter Muller, che in semi-rovesciata mette in porta il 2-1. Il primo tempo si chiude con un bel tiro di Bonhof neutralizzato comodamente da Viktor e la Cecoslovacchia è a sorpresa avanti.
Secondo tempo
A confermare la forza degli slavi, il secondo tempo si apre con una buona occasione per Švehlík, che calcia di poco a lato dal limite dell’area. La partita resta molto avvincente e tre minuti più tardi, da un triangolo tra Beer e Muller, il biondo centrocampista si trova nuovamente davanti a Viktor, che salva con un’altra uscita bassa. Ribaltamento di fronte ed è capitan Ondruš a trovarsi di fronte a Maier, che devia in angolo.
Al settimo minuto, Maier deve di nuovo volare per respingere in angolo il tiro dal limite di Móder, originato dall’ennesimo pallone sporco recuperato dalla nazionale in maglia rossa. All’intensità cecoslovacca è contrapposta la qualità dei tedeschi, come all’11esimo quando Beer controlla meravigliosamente il pallone di esterno, sistemandosi il pallone perfettamente per l’1vs1 contro Viktor ma il portiere, ormai evidentemente il migliore in campo, para ancora.
A questo punto, sala in cattedra l’arbitro italiano Sergio Gonella, dalla parte sbagliata però. Dopo un discutibile non fallo in area di rigore fischiato come punizione dal limite, Beckenbauer compie un bellissimo lancio di 40 metri sui piedi di Muller, sul cui cross interviene in pugno il portiere slavo lasciando la palla nella disponibilità di Hoeness al limite dell’area.
Il suo tiro sembra diretto in fondo alla rete ma viene parato dal braccio molto largo di Čapkovič, ma il pallone resta lì per Beer, ancora una volta contrastato dall’uscita bassa di Viktor; tuttavia, il pallone rimpalla sullo stinco di Hoeness e la palla rotola inesorabile verso la porta schiantandosi però sul palo.
Confusione, tanta confusione ma i cecoslovacchi sono ancora avanti. Ciò nonostante, la spinta tedesca sta schiacciando gli avversari e al 17esimo Bonhof si presenta di nuovo davanti al numero 1 slavo, che, per l’ennesima volta, respinge d’istinto la sassata del centrocampista tedesco. Un minuto dopo ed è il Kaiser a finire nella collezione di parate dell’estremo difensore, che respinge un tiro dal limite.
I tedeschi meriterebbero quantomeno il pareggio ma, nel corso di questa partita, è quando la pressione è più importante che la Cecoslovacchia si rende più pericolosa: bel contropiede, cross di Masný e Nehoda stacca di testa alle spalle di Schwarzenbeck, Maier è battuto ma la palla finisce sul palo. Il conto dei pali cresce al 32esimo, dopo che una punizione deviata di Bonhof scheggia la parte superiore della traversa grazie all’MVP Viktor.
Nonostante tutto, siamo ancora 2-1. Dopo cinque minuti, è di nuovo Gonella il protagonista: Beckenbauer prende palla al limite dell’area avversaria, si butta dentro l’area dove viene travolto da Dobiaš ma per l’arbitro italiano è tutto buono.
Al 43esimo, il pubblico, chiaramente schierato a favore degli slavi, è convinto che sia finita, mentre canta e festeggia ogni tocco della Cecoslovacchia. A sessanta secondi dal termine, Flohe viene travolto da Pivarník sulla trequarti: punizione per i tedeschi. Beckenbauer crossa di esterno e la palla viene allungata in angolo: è l’ultimo pallone del match. Bonhof crossa, Hölzenbein va a contrasto con Viktor nell’area piccola, una situazione che ai tempi nostri avrebbe creato molte discussioni, e lo anticipa in rete: all’ultimo respiro è 2-2. È tempo di tempi supplementari per la terza volta in tre partite di questi incredibili Europei.
Tempi supplementari
Nell’extra-time, Viktor è costretto ad altri due interventi mentre Maier deve deviare in angolo una bella punizione di Panenka, ma la partita, così drammatica e intensa, è ormai destinata al finale più drammatico e intenso possibile.
Per la prima volta, la neo introdotta regola dei calci di rigore decide una competizione internazionale. Il primo rigore lo calcia Masný: Maier a destra, palla a sinistra, 1-0. Risponde immediatamente Bonhof con un calcio potente e centrale. Tocca a Nehoda: palla al centro, Maier di nuovo a destra, 2-1. Il quarto è calciato da Flohe che spiazza Viktor alla sua sinistra, 2-2. Ondruš mette all’angolino il 3-2 mentre Bongartz spiazza nuovamente il portiere cecoslovacco per il 3-3.
La quarta serie di battute si apre con Jurkemik calciare un rigore perfetto di forza, appena sotto la traversa. Per pareggiare il conto, va sul dischetto Hoeness, il numero 8 della nazionale tedesca. Rincorsa dritta, botta centrale, portiere spazzato ma la palla è al secondo anello. Ancora una volta, il numero 8 potrebbe aver segnato la storia della Cecoslovacchia.
Per il rigore che vale una competizione, va sul dischetto Antonín Panenka, fantasista del Bohemians ČKD Praga, noto in patria per i piedi buoni ma anche per la tendenza a sparire nei momenti importanti. La ricorsa è lunghissima, ben fuori dall’area di rigore, ma arrivato al punto d’impatto compie uno di quei gesti che ti lascia di stucco: scavetto sotto la palla, Maier a terra e pallonetto che termina in fondo alla rete al centro della porta.
Come ti può venire in mente di calciare un rigore che vale un Europeo con il primo cucchiaio in una competizione internazionale? Genio o, più probabilmente, follia. Un gesto di follia che consegna la coppa ai cecoslovacchi, un gesto di follia che unisce e rende libero un paese, regalando, mi piace pensare, una speranza nel cielo di Praga.
La Cecoslovacchia è campione d’Europa.
Abbiamo scritto anche delle altre edizioni degli Europei: ’68, ’72, ’80, ’84, ’88, ’92, ’96, ’00, ’04, ’08, ’12, ’16.