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Siamo in Svezia, dove Danimarca e Germania si giocano la finale dell’Europeo 1992. I danesi sono dentro per un tragico trucco della sorte mentre i tedeschi si giocano la quarta finale nelle sette edizioni in cui han partecipato. Il miracolo è dietro l’angolo ma il grande vincitore di Euro ’92 sarà la noia, che spingerà la FIFA al cambio definitivo verso un regolamento offensivista. In un periodo storico destinato a stravolgere il continente, l’Europeo svedese fungerà da ponte tra passato e futuro.
Il contesto storico
La fine del Muro di Berlino
Nel corso degli episodi di questa saga, più di una volta abbiamo osservato come la storia abbia inciso sugli avvenimenti calcistici ma oggi, nel 1992, questo concetto arriva al suo apice assoluto. La stagione autunnale del 1989 ha reso manifesto come l’Europa stia attraversando un periodo di cambiamento storico, culturale ma soprattutto geopolitico.
Il 27 giugno l’Ungheria celebra la demolizione della cortina di ferro, volta a separare Occidente e mondo sovietico, mandando un chiaro segno alle popolazioni dell’Est: il gioco dei regimi di stampo comunista è finito ed è tempo di essere di nuovo liberi. Un mese e mezzo più tardi, Austria e Ungheria organizzano il Picnic Paneuropeo, una dimostrazione pacifica volta ad aprire simbolicamente uno dei confini sorvegliati tra i paesi per tre ore. Il segnale è ben recepito dal popolo e dal governo della DDR che, a seguito di un errore del Ministro della Propaganda, dà il via libera all’attraversamento verso Berlino Ovest, sentenziando la fine del Muro il 9 novembre 1989. Una massa di tedeschi dell’Est si riversarono nella capitale, accolti dai propri cugini occidentali in festa, segnando l’abbraccio definitivo tra Occidente e area sovietica e stritolante la Cortina di Ferro.
L’estate successiva Roger Waters, leader dei Pink Floyd, organizzerà un concerto pubblico per celebrare la caduta del Muro con l’esecuzione del celebre album The Wall davanti a 350 mila persone provenienti da tutta Europa, ponendo il primo mattoncino alla ricucitura culturale tra Est e Ovest. Pochi mesi dopo, il 3 ottobre 1990, la nazione sarà ufficialmente riunificata, consegnando agli Europei svedesi la “Germania”, campione del Mondo, per la prima volta dal Mondiale 1938.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica
Il percorso per il mondo sovietico è dunque segnato. A febbraio ‘90, cinque giorni dopo i sorteggi dei gruppi di qualificazione per Euro ’92, Gorbacev e il partito accettano le elezione libere nei paesi satellite, portando i neo governi nazionali a dichiarare l’indipendenza dall’URSS.
L’ultimo segno lasciato dal grande gigante sovietico arriva direttamente dalle parole del leader sovietico che alle ore 18 del 25 dicembre 1991 si dimette da presidente dell’Unione Sovietica, mettendo in luce in mondovisione i gravi difetti del governo del Partito e difendendo le sue riforme democratiche. Alle 18:35, la bandiera sovietica sopra il Cremlino è ammainata e sostituita dal tricolore russo, mettendo la parola fine a quella nazione così dominante sul piano politico e, per quanto ci riguarda, sportivo.
Tuttavia, le qualificazioni per l’Europeo svedese si sono appena concluse e la nazionale sovietica si è qualificata eliminando gli azzurri a fine ciclo di Vicini. Non potendo partecipare sotto la loro bandiera, il loro posto è preso dalla federazione creata ad hoc della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), composta da 11 dei 15 paesi dell’URSS. I primi vincitori degli Europei, 32 anni dopo, offrono il loro ultimo inconsapevole spettacolo casalingo proprio contro l’Italia, pareggiando 0-0 a Mosca prima di sparire per sempre, cancellati dal vento degli anni ’90.
La dissoluzione della Jugoslavia, ultimo “baluardo” del socialismo
Tuttavia, alla vigilia dell’Europeo 1992 c’è ancora un grande gigante socialista, sebbene non legato all’URSS, che vive l’alba del cambiamento unita a quella del dramma. Da una decina d’anni, la Jugoslavia ha perso il suo leader massimo, Josip Tito, che rappresentava l’elemento collante di una federazione internamente diversissima. Una nazione in cui si parlano tre lingue, si professano tre religioni e si utilizzano due alfabeti non può restare indifferente al vento di cambiamento europeo e spinta dalla rinascita delle idee nazionaliste e dalle differenze economiche, cade nella trappola infernale della guerra civile.
Ai tentativi d’indipendenza di Slovenia, Croazia e Bosnia, l’esercito jugoslavo risponde con le armi ma non è tanto lo Stato la base del conflitto, bensì l’odio etnico diffuso che vede nel diverso il male, lo sbagliato e il nemico. A Zagabria, a qualche centinaio di metri dalla Stazione, c’è un piccolo museo dedicato alla fotografia di guerra, che racconta in pochi minuti il dramma della guerra nei Balcani e raccoglie su un muro, le testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta sulla propria pelle e che tutt’oggi si chiede il perché di quell’odio fratricida.
Qualche minuto più in là, a fianco al palazzetto del Cibona, si trova un monumento ed un museo dedicato ad uno dei grandi protagonisti della Jugoslavia sportiva del tempo: Drazen Petrovic.
La sua esperienza è manifesto di che impatto abbiano avuto le guerre balcaniche sul lato sportivo, nonché su quello umano. Petrovic, croato, è stato il leader della Jugoslavia campione del mondo di basket nel 1990, una squadra che raccoglieva i talenti di campioni quali Toni Kukoc e Vlade Divac. Proprio al rapporto tra Drazen e quest’ultimo è dedicato il documentario Once Brothers, che racconta lo sgretolamento del rapporto tra i due amici a seguito dell’esplosione della questione balcanica.
L’episodio chiave che incrina i rapporti è proprio sul campo della finale Mondiale, dove alcuni tifosi irrompono per festeggiare con la bandiera indipendentista croata, ma Divac, serbo, la strappa dalle loro mani e la nasconde, volendo affermare la vittoria come pienamente jugoslava. L’atteggiamento non piace a Petrovic che, a seguito di altri episodi, finirà per chiudere completamente il rapporto prima di vincere la medaglia d’argento alle Olimpiadi 1992, quelle del Dream Team americano, con la maglia della Croazia, dopo che la nazionale jugoslava sparisce a causa della Guerra.
Europeo 1992
Lo stesso destino che aveva colpito la nazionale di basket colpisce anche la nazionale di calcio jugoslava in vista dell’Europeo svedese. Infatti, il 1° giugno 1992, un fax della UEFA comunica alla federazione, qualificatasi per la rassegna continentale, che la Jugoslavia è squalificata dalla competizione a causa della guerra.
Il Brasile d’Europa fino a pochi attimi prima contava nelle sue file gente come Savicevic, Stojkovic, Boban, Suker, Mijatovic, Mihajlovic, una squadra giovanissima che un conflitto eradica dalla storia.
I due gironi
Al loro posto, è ripescata la Danimarca, seconda nel gruppo di eliminazione ad un solo punto dagli slavi. I problemi per i danesi sono principalmente due: innanzitutto, la star della selezione Michael Laudrup è in conflitto aperto con il CT Moller-Nielsen e il suo gioco difensivista e rinuncia immediatamente alla trasferta svedese; il secondo, forse più grave, è che l’annuncio della qualificazione è arrivato dieci giorni prima dell’inizio dell’Europeo, con i giocatori che prospettavano già un’estate di vacanza sulle coste natie.
Invece, la Danimarca si ritrova catapultata nel girone A con i padroni di casa della Svezia, la Francia, guidata dalla panchina da Michel Platini, e l’Inghilterra, semifinalista mondiale due anni prima. I danesi partono male, pareggiando con una deludentissima Inghilterra 0-0 e perdendo contro la Svezia 1-0, ma alla vigilia dell’ultima giornata hanno ancora una possibilità di qualificazione: la Svezia deve battere i britannici e loro vincere con la Francia. Puntualmente, gli svedesi rimontano e battono l’Inghilterra mentre la Danimarca segna i primi due gol della sua competizione, superando il gol del pareggio del Pallone d’Oro in carica Papin.
I danesi, con i cugini, sono in semifinale.
L’altro girone, composto da Olanda, Scozia, Germania e CSI, è stravinto dai campioni in carica, che agli olandesi del Milan ha aggiunto il talento di Dennis Bergkamp, seguiti dai tedeschi, la cui presenza alle semifinali europee è più o meno certa come le tasse e la morte.
I penultimi atti saranno dunque: Svezia-Germania e Olanda-Danimarca, con due chiare favorite sulla carta.
Le semifinali: Svezia-Germania e Olanda-Danimarca
La prima semifinale va come previsto: la Germania va avanti 2-0, subisce il 2-1, allunga sul 3-1 a pochi minuti dal termine, prima di subire il secondo gol per il definitivo 3-2. L’altra partita regala molti più sussulti.
L’Olanda è una squadra schizofrenica, in grado di passare da momenti di esaltazione estetica a passaggi a vuoto clamorosi e davanti alla solidità operaia dei danesi va sotto due volte, sempre per merito del pisano Larsen. Bergkamp pareggia il primo gol dopo 23 minuti ma l’assedio olandese sembra andare verso un nulla di fatto, quando Rijkaard trova il fondo della rete a cinque minuti dalla fine.
Il grande protagonista del match è stato il portiere danese, appena diventato l’estremo difensore del Manchester United di Alex Ferguson, al tempo non ancor Sir. Peter Schmeichel tiene in piedi il match con interventi pazzeschi fino ai calci di rigore, dove dà la mazzata finale ai sogni di back-to-back parando l’unico rigore sbagliato della serie, quello del più forte di tutti, Marco Van Basten, che a fine anno vincerà il suo terzo pallone d’Oro.
La finale vedrà in campo chi è lì da sempre, i campioni del Mondo della Germania, e l’ultima arrivata, la Danimarca che era già in vacanza.
La finale dell’Europeo 1992: Danimarca – Germania
Le due formazioni sono un manifesto della deriva difensivista del calcio di inizio anni ’90: 5 difensori, 3 centrocampisti e 2 punte ma non è solo lo schieramento ad essere in comune. Entrambe le nazionali hanno rinunciato alla loro stella con Laudrup rinunciatario e Lothar Matthaus out per la rottura dei legamenti del ginocchio. Il loro posto è preso da una parte dal fratello minore Brian e dall’altra dall’unico membro della squadra proveniente dalla Germania Est, Mathias Sammer.
Primo Tempo
I tedeschi sembrano da subito la squadra migliore e dopo 7 minuti Sammer manda lo juventino Reuter davanti a Schmeichel, che compie l’ennesimo grande intervento della sua manifestazione. Tuttavia, poco dopo un’inquadratura della regia sulla tribuna d’onore dove Beckenbauer e Pelè stanno tranquillamente conversando, Brehme perde un pallone al limite dell’area, Povlsen la raccoglie e scarica dietro per Jensen che scarica un bolide alle spalle del portiere tedesco: 1-0 Danimarca, il sogno della Cenerentola continua.
Al 23esimo, è l’altra grande star tedesca a cercare il riscatto, incrociando un tiro dal limite dell’area diretto all’angolino sinistro ma Schmeichel è un gatto e miracolosamente sfiora la palla in corner.
I tedeschi pressano la difesa danese soprattutto dalla fascia destra ma di tiri verso la porta dell’estremo difensore dello United sono pochi e da grande distanza, non costituendo mai un reale pericolo e conducendo stancamente la partita verso l’intervallo, al termine di un primo tempo in cui la scelta tattica più utilizzata è stata il retropassaggio dalla difesa verso il numero 1 della Danimarca.
Secondo Tempo
La ripresa si apre con una sorpresa: il CT tedesco Vogts rinuncia a Sammer, nonostante questo fosse stato il regista e l’uomo che meglio aveva verticalizzato nel primo tempo. Il cambio di ritmo dato dai cambi non si vede e la Germania continua a spingere ma continua a sbattere per tutta la prima metà del secondo tempo sulla linea difensiva a cinque dei danesi, mentre la partita prosegue senza reali occasioni.
Anzi, la prima occasione della seconda parte è proprio per i danesi grazie ad una grande discesa personale di Laudrup, che manda in porta Vilfort, il quale stringe troppo la conclusione mantenendo il risultato stabile. Pochi secondi più tardi, la regola del “gol sbagliato gol subito” sembra prendere forma: prima Nielsen salva in spaccata con Riedle pronto a chiudere in rete alle sue spalle, poi tocca a Schmeichel salvare il risultato sul colpo di testa ravvicinato di Klinsmman. Azione successiva e nuovamente Riedle va vicino al gol di testa, dopo che la porta era stata lasciata sguarnita dall’uscita disperata dell’estremo difensore su Doll.
Ora, la Germania meriterebbe decisamente il pareggio. Tuttavia, al 32esimo la Danimarca ha un’altra grande chance: Vilfort controlla un pallone vacante, sterza verso l’interno al limite dell’area di rigore creandosi spazio da Brehme e Helmer e incrocia sul primo palo di sinistro, con il pallone che da un bacio al montante e si infila in rete: 2-0, l’impresa impossibile è sempre più realtà.
Il quarto d’ora finale trascorre veloce sotto la pressione non graffiante dell’artiglieria tedesca, mentre il pubblico danese, mentre balla e esulta con i cugini svedesi, si accorge che l’impresa più grande del dopoguerra si sta avvicinando sempre di più. Quella nazionale che dieci giorni prima dell’Europeo non doveva essere lì, quella nazionale abbandonata dal suo giocatore più rappresentativo, quella nazione arrivata in Svezia per fare da comparsa è campione d’Europa.
Storia nella storia, il gol decisivo premia un calciatore, ma ancora prima un uomo, che sta vivendo un dramma in parallelo alla competizione: alla piccola figlia è stata recentemente diagnostica una grave forma di leucemia e il padre ha fatto avanti e indietro dagli ospedali danesi agli stadi svedesi per tutto il torneo, lottando sul campo ma soprattutto nella sua testa. La bambina morirà qualche mese più tardi, non prima di aver visto il padre vincere la prima coppa internazionale del proprio paese. Magra consolazione di certo.
I risvolti dell’Europeo 1992
Tuttavia, c’è poco da girarci intorno: la grande vincitrice dell’Europeo 1992 è la noia. Il calcio è diventato uno sport basato sull’attesa, sul gioco sporco e sulla prudenza mentre il numero di gol per partita ha raggiunto il suo minimo storico proprio in Svezia (appena 2,13 per match).
È giunto il momento di cambiare qualcosa e i primi a prendere provvedimenti in tal senso sono gli organi della FIFA, nelle figure di Havelange e Blatter, che mettono mano direttamente al regolamento.
La prima regola per stimolare la ricerca propositiva è l’introduzione dei tre punti per vittoria, che dal 1994 verrà introdotta nella Coppa del Mondo targata USA e nel campionato italiano.
La seconda modifica riguarda il fuorigioco: se già dal 90/91 l’attaccante in linea non è più considerato in offside, dal 1995 viene eliminato il fuorigioco passivo, imponendo che perché la posizione sia sanzionabile, il giocatore debba partecipare all’azione in modo attivo.
Inoltre, all’estensione del numero di sostituzioni disponibili a tre del 1995, viene affiancata una revisione totale dei casi passibili di cartellino rosso: nel 1991, viene introdotto la chiara condotta sleale intesa come un intenzionale e fisico impedimento tramite mezzi scorretti nei confronti di un avversario coinvolto in una chiara occasione da rete. Dal 1993, vengono riviste le casistiche del fallo e prima il fallo da dietro e poi tutti i falli che mettono in pericolo l’avversario diventano passibili di cartellino rosso. Il chiaro obiettivo è rendere il gioco più fluido e meno falloso per favorire lo spettacolo.
Infine, il cambiamento che più direttamente coinvolge la finale del 1992 riguarda il retropassaggio al portiere. Forse colpiti anche loro dall’enorme numero di tocchi dei difensori verso Schmeichel, gli organi della FIFA decidono che l’estremo difensore non possa più controllare con le mani il pallone ricevuto direttamente dai piedi dei suoi compagni, pena una punizione a due in area. Sarà proprio Danimarca-Germania l’ultima partita con questa possibilità.
Questa modifica avrà un impatto enorme sul gioco, implementando la necessità di portieri bravi a giocare il pallone con i piedi e favorendo l’avvento del Gegenpressing (una variante di questo nome l’abbiamo già sentita da qualche altra parte), dato che i difensori dovranno giocare il pallone loro stessi una volta giocato dagli avversari verso di loro.
Si può dire che il processo che ha portato alla diffusione di giocatori come Neuer, ter Stegen o Ederson e della figura del power keeper sia iniziato al triplice fischio conclusivo di questa folle edizione.
Abbiamo scritto anche delle altre edizioni degli Europei: ’68, ’72, ’76, ’80, ’84, ’88, ’92, ’96, ’00, ’04, ’08, ’12, ’16.