Abbiamo viaggiato in tutta Europa, da Roma fino a Londra, dal 1968 fino al 2021, ma non potevamo lasciarci davanti al gigantesco arco alle porte di Wembley. Il nostro viaggio ha un’ultima grande tappa dentro la cattedrale del calcio, dentro Italia-Inghilterra, la finale di Euro 2020. Una finale che per entrambe le squadre nasce dalla delusione, da due uscite di scena inaspettate, che hanno imposto a entrambi i movimenti la necessità di una rinascita, sotto la guida di nuovi condottieri.
Da lì ripartono Roberto Mancini e Gareth Southgate per portare le proprie nazioni all’appuntamento europeo, un appuntamento che si è spostato un anno più in là a causa della pandemia che ha investito l’intero globo. Ed ora, dopo tutte le difficoltà, siamo pronti per scendere in campo con la coppa, che curiosamente si gioca tra le Nazionali organizzatrici della prima e dell’ultima tappa del nostro viaggio. Allacciate le cinture, c’è un cielo londinese da tingere di azzurro.
Come l’Italia arrivava ad Euro 2020
La disfatta contro la Svezia
Sono le 22.40. Prendi il pallone in mano, lo baci e mandi una preghiera verso l’alto agli dei pagani del calcio; metti la palla a terra, pronto a calciare dalla bandierina destra di San Siro, mancano venti secondi alla fine, venti secondi dall’eliminazione.
In questo momento, il protagonista di questo drammatico spettacolo è Alessandro Florenzi ma nel gesto del romanista, ci sono le speranza di un paese intero che proprio non vogliono credere che la propria Nazionale non parteciperà ai Mondiali, a sessant’anni dall’ultima uscita nelle qualificazioni. Cross al centro respinto, un compagno stoppa e tira al volo, deviazione e fuorigioco; l’arbitro fischia tre volte, gli svedesi festeggiano e ti porti le mani al viso, mentre ti adagi incredulo sul divano. L’Italia è fuori da Russia 2018 e il sentimento di un intero paese è mostrato da un’icona come Gigi Buffon, che piange in diretta davanti a 15 milioni di italiani.
Tuttavia, a quel tragico (sportivamente parlando) 13 novembre 2017 segue un fenomeno ancora più grave di quanto possa essere un’eliminazione: l’Italia, quella che per il calcio vive e ha sempre vissuto, si disinnamora della maglia Azzurra, prova rabbia ancor più che tristezza e la mancata uscita di scena con classe del condottiero spaventato Ventura non fa che alimentare quel sentimento. L’immagine di De Rossi che rifiuta il cambio è iconica, mentre urla il desiderio di tutti gli italiani verso il soldato smarrito, il cui grande difetto non è stato tanto il tentativo di abbattere i giganti nordici con le palle alte, ma l’incapacità di gestire sé stesso prima che il suo gruppo.
“Dobbiamo vincere, dobbiamo fare gol, mandate gli attaccanti a scaldarsi” non è grave perché mostra un uomo tatticamente in difficoltà, ma perché segna inequivocabilmente la totale mancanza di fiducia verso il CT di tutta una squadra e con lei di tutto un paese, probabilmente Ventura compreso. Se poi il pavido comandante non rassegna neanche le dimissioni, il cerchio di astio per molti si chiude.
Ma al di là dei singoli antagonisti, ci si rende conto quanto il Mondiale, e dunque il calcio, sia un fenomeno non solo sportivo ma sociale, che ha accompagnato generazioni e generazioni di bambini e adulti, che si sono innamorati del gioco di tutti guardando le gesta della Nazionale. Invece, il circolo è rotto e un popolo intero si sente come se qualcosa gli fosse stato sottratto, qualcosa che doveva essere parte di sé.
L’inizio dell’era Mancini
Le prime sei partite della gestione tecnica successiva registrano 38 milioni di spettatori in tutto, otto milioni in meno delle prime avventure dell’era Ventura e quasi dodici in meno rispetto agli esordi da CT di Antonio Conte. C’è bisogno di un uomo in grado di ridonare entusiasmo al suo gruppo e ai suoi tifosi, in grado di ricreare quel blocco monolitico tra Nazionale e italiani che ha portato tanta gloria alla storia dei quattro volte campioni del mondo. Quell’uomo è Roberto Mancini, che alla paura della pressione contrappone il coraggio di chi si butta nel fango, come mai gli era realmente successo da allenatore, per tirar fuori il corpo agonizzante vestito di azzurro.
La strada scelta dal Mancio è quella della rivoluzione: via i dettami del calcio all’italiana, eliminati i ricircoli di giocatori tra il buono e il mediocre con qualche primavera sulle spalle, rinnovamento di uomini e idee, aprendo le porte della Nazionale anche a chi in Serie A non ci aveva mai giocato, per fare in modo che Coverciano diventi il punto di riferimento della rinascita del movimento italiano.
La nuova Italia di Mancini cerca di strutturarsi molto più come un club, che assume una determinata fisionomia e filosofia, lanciando chi davvero merita e tenendo insieme il tutto con il collante universale del calcio di possesso: la tecnica. Dall’esordio contro l’Arabia Saudita del maggio 2018 all’ultima partita di qualificazione per Euro 2020 del novembre 2019, esordiscono in azzurro 24 giocatori, tra cui alcuni giovani, come Kean, Zaniolo, Barella e Tonali, e alcuni meno giovani che si sono guadagnati l’azzurro sul campo, internazionale o meno, come Grifo, Politano, Pavoletti e Piccini.
Il CT osa, sperimenta e, come tutti i progetti che si scontrano con l’esterno in un momento di rivoluzione, fatica ad ingranare vincendo l’amichevole con i sauditi 2-1 ma ottenendo una sola vittoria nelle successive sette partite, da cui si raccoglie anche un secondo posto nel girone di Nations League buono solo per non retrocedere. La seconda vittoria dell’era Mancini arriva tre giorni dopo l’uscita di scena dalla nuova competizione per nazionali, grazie ad una rete di Politano nell’amichevole contro gli Stati Uniti.
Vanno così in archivio i primi sei mesi della nuova gestione, che continua a non convincere i tifosi (appena 7,6 milioni di telespettatori contro il Portogallo, il dato migliore del primo semestre) e manda un po’ in confusione gli addetti ai lavori che da un lato esaltano lo spazio concesso alle nuove leve e dall’altro si interrogano sulla direzione che la Nazionale sta prendendo.
Tuttavia, Roberto Mancini ha iniziato a seminare le proprie idee nel nuovo gruppo e ha un asso nella manica per dare coerenza al suo progetto: gli stage a Coverciano.
Bistrattati e odiati dai club, il neo CT convince tutti e organizza due incontri, il primo dedicato ai giocatori che andranno a giocarsi le qualificazioni ad Euro 2020, il secondo composto da tutti i giovani talenti del movimento azzurro.
L’obiettivo è chiaro e si distacca dai fallimenti delle gestioni precedenti: creare un gruppo unico, una struttura coesa che parta dai giovani e arrivi ai grandi veterani. Dal primo momento, la prima conferenza stampa, Mancini mette in primo piano l’orgoglio di essere vestiti con quella maglia e la necessità di tornare ad essere una potenza nel calcio mondiale, come d’altronde è sempre stato. Prima che tecnica, dunque, la rivoluzione manciniana è mentale e ha come scopo rialzare la testa. Come farlo sul campo? Attraverso il gioco.
Le qualificazione ad Euro 2020
Le qualificazioni si aprono a marzo e contro la Finlandia decidono due new entry del Mancio: Moise Kean, all’esordio da titolare in azzurro, e Nicolò Barella. Tre giorni dopo, sono sei le reti rifilate al Liechtenstein tra cui quelle di Sensi, posto da subito al centro del progetto, nuovamente del classe 2000 e di Pavoletti.
È solo l’inizio del filotto azzurro che batte Grecia, Bosnia, con protagonista un Insigne chiave del gioco azzurro dopo il disastro di Ventura che l’aveva escluso nei momenti più importanti, e Armenia, prima di rifare percorso netto anche nelle gare di ritorno. In un girone certamente non impossibile, l’Italia chiude a punteggio pieno subendo, come solo il Belgio riesce a fare, subendo quattro reti e segnandone ben trentasette. A concludere la festa azzurra, il trionfo di Palermo per 9-1 contro l’Armenia, secondo miglior risultato della storia, in cui brilla abbagliante il talento di Nicolò Zaniolo.
L’improvvisa “ascesa” del Covid-19
Tutto pronto per Euro 2020 allora, no? No, perché sull’Italia e sul mondo intero si abbatte un nemico imprevedibile ed esterno al mondo del pallone. Il 31 dicembre 2019 le autorità cinesi comunicano all’Organizzazione Mondiale della Sanità il primo caso accertato di una nuova malattia che va a colpire le vie respiratorie dei malati e che colpirà rapidamente il funzionamento della società moderna.
Dapprima sembra qualcosa di lontano, come tante epidemie che erano rimaste fuori dai confini europei, ma presto l’incubo si para davanti agli occhi di un paese. A fine gennaio, una coppia di turisti cinesi viene fermata a Roma positiva e, pochi giorni dopo l’annuncio dell’OMS della nuova nomenclatura Covid-19, un 38enne lodigiano, che mai si era recato in Cina, si presenta all’ospedale di Codogno a causa di problemi respiratori. Il responso parla di polmonite ma il ritorno dell’uomo con sintomi peggiorati insospettisce i medici che trovano il primo paziente positivo senza legami diretti con l’estremo oriente.
Il Covid è libero di diffondersi nel Bel Paese e il 21 febbraio viene ufficialmente riconosciuto il primo focolaio europeo, che entro il 1° Marzo conta 1694 contagiati. Il 9 marzo l’Italia si ferma confinata tra le mura di casa e con essa naturalmente si blocca anche il mondo del pallone, non prima dell’iconico cartello “Andrà tutto bene, restate a casa” di Ciccio Caputo in un Sassuolo-Brescia che chiude il 26esimo turno di Serie A.
Nonostante il bel messaggio, il paese è colpito duramente, essendo di fatto il primo a dover affrontare l’emergenza nel continente, e il momento viene simboleggiato dalle foto degli operatori del pronto soccorso, che sono ritratti sfiniti e sfigurati durante le terribili giornate in corsia.
Otto giorni più tardi l’annuncio che scuote anche il mondo delle Nazionali: l’UEFA rimanda gli Europei al 2021 a causa della diffusione della malattia, che ormai ha ufficialmente raggiunto lo status di pandemia.
Di per sé, la notizia non è così tragica per il gruppo del Mancio che ha sì due super veterani nel cuore della propria difesa ma che è comunque generalmente giovane, ricco del talento lanciato dal CT nel corso dei suoi esperimenti.
Per i vari Donnarumma, Zaniolo, Kean, Mancini e Barella un anno in più di esperienza e qualche partita con la casacca azzurra sulle spalle potrebbe aiutare ma soprattutto potrebbe aiutare il tecnico a mettere appunto il suo sistema di gioco, magari con la possibilità di inserire qualche nuova pedina, oltre che di recuperare definitivamente la nuova stella romanista, reduce dalla rottura del legamento crociato.
E se la prospettiva di crescita non dovesse bastare per alzare il morale del tifo azzurro, sicuramente ottiene questo risultato proprio il nostro condottiero, che ancor prima della decisione ufficiale dell’organo europeo dichiara “Avremo vinto quest’anno, vinceremo l’anno prossimo”. Quella che sul momento può sembrare una dichiarazione azzardata, diventa perfettamente sensata nell’ottica iniziale del progetto manciniano e nella ricerca di quel senso di gruppo di orgoglio da subito decantata.
L’avvicinamento ad Euro 2020 e la Nations League
Tuttavia, come in ogni buon (o pessimo) film, ci deve essere quel colpo di scena nella sceneggiatura, che prende un protagonista carico e entusiasta del proprio momento e lo getta nel baratro. La Nazionale torna in campo il 4 di settembre per giocarsi la prima partita del girone di Nations League contro la Bosnia. Partita rognosa, Italia imballata e che va sotto nel punteggio, prima che a riprendere il match ci pensi un gol fortunoso di Sensi.
Tre giorni dopo, ad Amsterdam va in scena uno show che sa di montagne russe: gli Azzurri giocano bene, sprecano e vincono con una rete di Barelle ma a pochi minuti dal termine del primo tempo, Zaniolo va a terra tenendosi il ginocchio sinistro, quello sano. Si tratta nuovamente di rottura del crociato, stavolta dell’altra gamba, e la stellina azzurra che doveva trascinare Roma e Nazionale è fuori dai giochi prima che la stagione parta. Un infortunio grave di chi ha la forza, e il talento, di trascinarti può essere una mazzata importante, oppure può essere l’occasione per ricercare compattezza verso i tuoi obiettivi.
Ad ottobre, l’Italia batte la modesta Moldavia ma pareggia contro Polonia e Olanda, mentre i dubbi tornano a riaffiorare tra i tifosi, stufi di essere delusi dalla propria rappresentativa.
Ma in tutto questo la squadra di Mancini non perde da più di due anni e non ha intenzione di farlo più. A novembre, si parte con l’amichevole con l’Estonia a Firenze che gli Azzurri liquidano per 4-0, guidati dalle reti di Grifo (doppietta), Bernardeschi e Orsolini, due esordienti del Mancio e un uomo di fiducia, protetto dal CT nonostante la fallimentare avventura juventina.
A proposito di esordienti, gli esperimenti non sono finiti e nelle prime gare del 2020 esordiscono tra gli altri Locatelli, Pessina, Bastoni e Pellegri, a dimostrazione che l’ex stella della Samp non ha paura di tentare nuove vie, e non la avrà fino all’ultimo. A questo punto è finito il momento dei giochi e davanti agli Azzurri si ergono cinque appuntamenti ufficiali che valgono per il prosieguo in Nations League e per le prime tre partite delle qualificazioni dei Mondiali, a quasi tre anni e mezzo dalla sventurata avventura di Ventura.
Risultati? 2-0 (Jorginho, Berardi), 2-0 (Belotti, Berardi), 2-0 (Berardi, Immobile), 2-0 (Belotti, Locatelli), 2-0 (Sensi-Immobile). Biglietto per le semifinali prenotato e partenza super in ottica Qatar 2022. Bene dai, a questo punto siamo pronti per l’Europeo, il gruppo è stabilito e non ci resta che vivere sulle ali dell’entusiasmo verso l’esordio dell’Olimpico. Sì, quasi perché nel frattempo esordiscono altri due giocatori: Rafael Toloi a marzo e Raspadori a giugno, a sette giorni dal primo match di Euro 2020.
Ma quello che sembra l’ennesimo esperimento del Mancio in ottica futura, si trasforma nella sorpresa più grande della gestione, che arriva in faccia a mezza Italia con le convocazioni, al termine tra l’altro di una serata azzurra molto italiana e un po’ meno interessante.
In porta ci sono i nomi che si aspettava: Donnarumma, Sirigu e Meret, con buona pace di Alessio Cragno; in difesa sorgono i primi dubbi con Gianluca Mancini escluso dal suo omonimo e Giorgio Chiellini riportato per l’ennesima volta al centro della Nazionale; a centrocampo toccherebbe a Sensi, che non gioca con continuità da praticamente un anno e puntualmente si fa male subito, lasciando posto a Pessina, che un anno prima non avrebbe nemmeno sognato la convocazione.
Tuttavia, la vera sorpresa è davanti dove resta fuori Politano, che lascia il posto al fedelissimo Bernardeschi, e soprattutto Moise Kean, reduce da una stagione da venti gol ma al quale viene preferito, probabilmente per motivi comportamentali, il neo esordiente Raspadori. Le critiche arrivano puntuali ma l’obiettivo del Mancio è sempre lo stesso: creare un gruppo coeso senza possibili schegge impazzite, un gruppo guidato da quei veterani che devono dare la verve e trasmettere a tutti cosa significhi giocare in azzurro una competizione del genere.
Gli Azzurri ad Euro 2020
Il girone
Con un anno di ritardo, tocca proprio alla nostra Nazionale aprire l’edizione a cinque anni dall’ultima partita giocata in uno dei due tornei principali. L’avversario è la Turchia, rivale sulla carta molto ostico che nelle qualificazioni ai Mondiali aveva annichilito l’Olanda.
A colpire immediatamente addetti a lavori e tifosi, per la prima volta dopo più di un anno presenti in una piccola percentuale sugli spalti dell’Olimpico, è la passione, l’energia e il vigore con cui la squadra del Mancio canta, o meglio urla, l’inno di Mameli.
In questo momento, non si può sapere come andrà a finire ma ci si rende immediatamente conto come il primo obiettivo di Mancini, ovvero riportare l’orgoglio nel cuore degli Azzurri, sia stato ampiamente centrato, da lì c’è solo da divertirsi. Come ormai ha abituato i suoi tifosi, l’Italia gioca bene, convince e domina il match che si chiude 3-0 senza lasciar la minima chance ai turchi, anche grazie allo scempio compiuto dal loro CT.
L’esaltazione del momento è raccolta perfettamente dalle parole dell’ormai storico commentatore azzurro, quel Fabio Caressa che quindici anni prima urlava “CAMPIONI DEL MONDO” e ora che dà il via al nostro Europeo, gridando “SIAMO UNA MACCHINA DA GUERRA”. Obiettivo numero due, quello dell’entusiasmo, centrato.
Le successive due gare sanno già di formalità grazie al format che premia le migliori terze ma se è vero che vincere aiuta a vincere, la Nazionale non ha intenzione di fermarsi e prima travolge nuovamente 3-0 la Svizzera, con la doppietta dell’esordiente di Mancini Locatelli, e poi supera, infarcita di riserve, anche il Galles per 1-0, grazie alla rete di un altro prodotto, almeno in azzurro, del CT, Matteo Pessina.
L’ottavo di finale: Italia-Austria
Il girone è passato in scioltezza e l’avversario agli ottavi sembra tutto tranne che fuori portata, ovvero quell’Austria che ha superato un girone piuttosto semplice al secondo posto. Ci si aspetta una passeggiata ma a quel livello lì, con quella pressione lì, non esiste nulla di simile e l’Italia fatica, aggredita costantemente dagli ostici vicini alpini. Anzi, gli Azzurri vanno addirittura sotto, prima che il VAR li salvi, determinando la posizione millimetrica di fuorigioco di Arnautovic.
Si va ai supplementari a sorpresa e in quei momenti li a salire in cattedra devono essere i campioni e, fortunatamente per noi, abbiamo più campioni di loro. A sbloccare il match ci pensa Federico Chiesa, che aveva iniziato la competizione in panchina a favore di Berardi, ma che in pochi minuti dimostra perché la sua caratura sia quella del top player: dalla sinistra arriva una palla perfetta di Spinazzola, Chiesa, rimasto largo in ampiezza a differenza del collega sassolese, controlla, mantiene la calma con il dribbling e calcia alle spalle del portiere.
A questo punto sembra fatta, ancor di più dopo la seconda rete consecutiva del protagonista inatteso Pessina, ma gli Azzurri devono imparare un’altra lezione e prendono un gol evitabile da calcio d’angolo. Inizia un’agonia che dura solo qualche minuto ma è percepita come ore, che si conclude con il triplice fischio e la qualificazione tirata fuori per i capelli. Lezione imparata o scricchiolio preoccupante, ad aspettarci c’è il Belgio di Lukaku.
Il quarto di finale: Italia-Belgio
Il Belgio arriva all’Europeo tra le grandi favorite della competizione, dopo un percorso di qualificazione perfetto e dopo tanti anni in cima al ranking FIFA. Eppure, la partita inizia per l’ennesima volta con gli Azzurri che dominano il pallone e creano di più, nonostante qualche sortita pericolosa di Big Rom e Kevin De Bruyne.
Il match si sblocca, dopo una rete annullata a Chiellini, grazie alla caparbietà di Barella, non il migliore degli Azzurri fino a quel momento nella competizione, ma che lotta dribbla e calcia alle spalle di Courtois l’1-0. Passano pochi minuti e a raddoppiare ci pensa una firma d’autore: Lorenzo Insigne, colui che aveva visto Italia-Svezia dalla panchina perché reputato inadatto tatticamente, calcia il suo più classico tiro a giro, che si infila dietro al portiere belga. In Italia parte la festa ma anche questo film vuole il suo momento di suspense e un rigore dubbio viene assegnato ai belgi: calcia Lukaku ed è 2-1 all’intervallo.
Nella ripresa, la Nazionale soffre ma è oggettivamente la squadra più forte in campo e si porta verso il fischio finale con molta più tranquillità di quella che l’ansia dei tifosi può raffigurare, guidata da un imperioso Chiellini, scommessa del Mancio, da un po’ di fortuna davanti alla propria porta e dal CT stesso, che vince per la quarta volta nettamente il duello con il proprio corrispettivo.
La semifinale: Italia-Spagna
Tocca alla Spagna, che fino a quel momento ha viaggiato su un ottovolante verso la semifinale ma che per la prima volta preannuncia battaglia sul tentativo del dominio del possesso, fattore che gli Azzurri non hanno ancora affrontato.
Difatti, l’Italia soffre come non ha mai sofferto nella gestione Mancini, stritolata dal pressing perfetto degli spagnoli, dalla loro rete di passaggi e dalla tattica perfetta di Luis Enrique, che ingabbia la regia azzurra e crea scompiglio riproponendo la figura del falso nueve, a nove anni da quando Fabregas e Del Bosque l’avevano messo sulla bocca di tutti.
La Spagna crea, non concretizza e va sotto con l’ennesimo colpo da campione di Federico, l’ex figlio di Enrico che ormai viaggia tranquillamente senza il supporto del nome del padre. Gli iberici continuano ad attaccare e giustamente raggiungono il pari con Morata, prima di calare un po’ verso l’approcciarsi dei tempi supplementari e di condurre la partita verso i rigori.
Locatelli sbaglia il primo ma Olmo prosegue nel suo rapporto difficile con la rete calciando altissimo; segnano dunque Belotti, Moreno, Bonucci, Thiago Alcantara e Bernardeschi, che, nel momento di più alta tensione con gli occhi di un paese addosso pronto ad ostracizzarlo come capro espiatorio, calcia un rigore perfetto all’incrocio dei pali. Tocca quindi all’italiano Morata, che calcia debolmente e permette a Donnarumma l’intervento. Va sul dischetto Jorginho, maestro dei rigori, che con calma olimpica spiazza Unai Simòn, regalando la quarta finale europea agli Azzurri.
L’avversaria sarà l’Inghilterra che cinque anni prima era clamorosamente uscita da Euro 2016 con l’Islanda e che in semifinale ha sconfitto la sorpresa della competizione, la Danimarca, che aveva iniziato la sua competizione in lacrime, quando Eriksen era collassato sul campo nel match con la Finlandia, salvato dai compagni e dall’intervento dei medici. A Wembley, la casa del calcio inglese ed europeo, tocca a Italia-Inghilterra.
La finale: Italia-Inghilterra
La finale azzurra parte come peggio non potrebbe: dopo due minuti l’Inghilterra è avanti, trascinata dal proprio pubblico e dalla rete di Luke Shaw. Tuttavia, da lì gli inglesi iniziano piano piano a rinunciare a giocare, consegnandosi alla partita che piace all’Italia. La Nazionale di Mancini non crea tantissimo ma domina campo e gioco e, prima o poi, l’episodio arriva: da calcio d’angolo, Verratti devia un pallone sporco e Pickford para sul palo ma, sulla respinta, la palla giunge sui piedi di Bonucci che calcia in rete l’1-1.
I britannici proseguono nel proprio canovaccio difensivista, portando la partita ricchissima di tensione verso il terzo supplementare e la seconda lotteria dei rigori dell’Europeo italiano.
Berardi e Kane segnano i primi due tiri mentre Belotti sbaglia con gli occhi della paura il terzo rigore; Maguire calcia un rigore perfetto all’incrocio e tocca a Bonucci segnare una conclusione che tiene con il fiato sospeso sessanta milioni di persone. È 2-2 e sul dischetto per l’Inghilterra vanno prima Rashford e poi Sancho, entrati al 120esimo per calciare intervallati da Bernardeschi.
Un po’ per la tensione che pesa doppio su chi entra a freddo per il tiro decisivo, un po’ per la figura gigantesca e felina di Gigio Donnarumma, sbagliano entrambi, il primo tirando sul palo, il secondo parato dall’estremo difensore azzurro, mentre lo juventino segna regalando a Jorginho un altro pallone per la vittoria, un pallone che significa Europeo. Jorginho prende la sua solita rincorsa ma Pickford, autore di un super Euro2020, resta fermo per poi lanciarsi come un gatto sulla sua destra, schiaffeggiando la palla sul palo e ridando vita ai fanatici dell’It’s coming home.
Tocca ad un altro giovanissimo, che in un tiro ha sulle spalle sessant’anni di delusioni degli inventori del calcio, gli sguardi dei settanta mila di Wembley e quelli di un popolo intero: Saka calcia, Donnarumma si butta, para il tiro e l’Italia è Campione d’Europa. Dopo la più grande delusione della storia recente azzurra, dopo una pandemia che ha colpito prima di chiunque altro la vita e la quotidianità degli italiani, le persone possono riversarsi finalmente di nuovo per le strade, come un popolo unico e orgoglioso, un popolo come lo sognava Roberto Mancini, il condottiero dell’impresa tricolore, quando ha preso le chiavi di Coverciano in mano.
Cinquantatré anni dopo, la coppa torna in Italia, o come direbbero i cari padroni del calcio “It’s coming Rome”. Ma questo, è solo l’inizio dell’incredibile estate italiana.
L’estate italiana non è solo calcio
Un’estate italiana che era partita un po’ in anticipo a maggio con il trionfo dei Måneskin all’Eurovision, superando i cugini transalpini all’ultimo secondo grazie al voto dell’Europa, e che era proseguita con la storica finale di Berrettini a Wimbledon, proprio poche ore prima dello scontro di Wembley. La vittoria degli Azzurri sembrava aver portato a compimento un grande momento per il paese, ma c’è un ultimo grande evento da disputarsi, che, come l’Europeo, è stato rimandato di un anno a causa della pandemia: i giochi Olimpici di Tokyo.
Olimpiadi che per l’Italia era partite con un’impresa prima di iniziare, grazie alla vittoria dell’Italbasket nella finale del torneo di qualificazione olimpica contro la Serbia padrone di casa e in forte odore di medaglia in Giappone, ma ciò che avviene da lì in poi è qualcosa di surreale.
Si parte il 24 luglio con l’argento di Luigi Samele nella sciabola maschile e con l’oro di Vito Dell’Aquila nel taekwondo e da quel momento lì la spedizione azzurra non si è fermata più, nonostante le critiche premature di chi ama parlare sempre troppo presto. Tante le medaglie, tantissime, ben quaranta a fine edizione, nuovo record all time, ma soprattutto tre momenti che rimarranno nella storia olimpica e sportiva azzurra più di tutti gli altri.
Partendo dal 4 agosto, quando la squadra di ciclismo su pista conquista l’oro nell’inseguimento a squadre maschile con una rimonta irreale, guidata da un sensazionale Filippo Ganna, ma arrivando soprattutto all’1 agosto, giorno da segnare con un bel cerchio rosso sul calendario dello sport tricolore.
In pedana per il salto in alto c’è Gianmarco Tamberi, a cinque anni di distanza da quando il suo sogno olimpico si era frantumato per un infortunio a poche settimane dai giochi di Rio. Tamberi salta, salta sempre più in alto e non sbaglia mai, fino a quando la sua gara si ferma a quota 2.39 e con la sua quella di Barshim, fenomeno della disciplina che a sua volta non ha commesso alcun errore prima dei tre decisivi.
Il giudice si avvicina ai due atleti e propone un salto di spareggio ma il qatariota rilancia, chiedendo un oro per tutti e due. L’ufficiale comunica che è possibile se entrambi lo vogliono e non serve neanche attendere la risposta dei saltatori che si abbracciano per la gioia: Gianmarco Tamberi si dipinge d’oro.
Tuttavia, non finisce qui: da lì a pochi minuti, sulla pista dei 100 metri sta per partire la finale maschile, la gara regina delle Olimpiadi, che ha come protagonista l’italiano di El Paso Lamont Marcell Jacobs, autore del record europeo in 9.84 nelle semifinali.
Un po’ ci si spera ma nessuno pensa davvero che si possa andare a prendere l’oro, non in una disciplina dove nessun italiano era mai arrivato in finale. Jacobs parte a cannone, scatena i suoi cavalli irresistibili per tutti gli altri e man mano che percorre i metri, regala ad ogni italiano uno sviluppo di emozioni clamorose che passano dalla paura, alla speranza, allo stupore, alla gioia sfrenata: 9.80 Marcell Jacobs è campione olimpico.
Ma se la vittoria del singolo può essere un unicum frutto del talento e della fortuna, non si può fare lo stesso discorso per ciò che succede il 6 agosto. Si corre la finale della 4X100 e l’Italia è in finale con il quarto tempo. Se per Jacobs ci si sperava ma non ci si credeva realmente, nessuno punta a qualcosa più di una medaglia storica. Parte Lorenzo Patta, testimone al campione olimpico Jacobs, cambio con Desalu e ultima frazione per Filippo Tortu, che spinge, spinge fortissimo spalla a spalla con l’avversario inglese ma mette il naso avanti: 37,50, medaglia d’oro.
Arrivano altre due medaglie dopo il quartetto azzurro ma, almeno simbolicamente, quel colpo di reni del velocista meneghino rappresenta l’apice dell’assurda estate azzurra che attraverso i volti e le prestazioni dei suoi campioni, ha regalato ad un paese intero un sogno.
Un sogno da cui speriamo di non svegliarci più.
Abbiamo scritto anche delle altre edizioni degli Europei: ’68, ’72, ’76, ’80, ’84, ’88, ’92, ’96, ’00, ’04, ’08, ’12 e ’16.