Una cattedrale nell’apparente deserto della zona sud di Dortmund, i sostegni gialli che si alzano verso il cielo e che con la loro forma spigolosa e meccanica, come fossero braccia di una gru, richiamano la storia della regione della Ruhr, famosa soprattutto per i giacimenti di carbone che portarono al rapido sviluppo della zona durante la rivoluzione industriale.
La scritta, ben visibile anche da più chilometri di distanza, recita “SIGNAL IDUNA PARK”, uno dei pegni pagati dal Borussia Dortmund quando nel 2005, ben lontano non solo dall’apice raggiunto da Klopp qualche anno dopo ma anche dai fasti odierni, fu costretto a cedere i diritti di denominazione di quello che fino ad allora si era chiamato Westfalenstadion per evitare il fallimento finanziario, mentre la squadra in campo si sforzava di evitare quello sportivo lottando per non retrocedere nella Zweite Bundesiga, la serie B tedesca.
Chiedete ad un tedesco per cosa è rinomata Dortmund, e avrete sempre la stessa risposta – il calcio. E il calcio a Dortmund non significa solo il Borussia, ma anche la nazionale (nonostante i rapporti tra la tifoseria del Borussia e la lega calcio tedesca siano tutt’altro che idilliaci): è qui che si può visitare il museo della storia del calcio tedesco dove è conservato, tra le altre cose, il dischetto dell’Olimpico da cui Brehme ha calciato il rigore decisivo ai mondiali di Italia ’90.
Dortmund è una città che più di molte altre lega il suo nome al destino della sua squadra, unico vero punto di eccellenza di una città altrimenti anonima, e che anzi rischierebbe di essere conosciuta per i motivi sbagliati, come ad esempio il tasso di povertà più alto rispetto alla media nazionale del 5%, altra eredità della storia di Dortmund e delle difficoltà incontrate nel trasformarsi da città industriale a città moderna, o il complicato rapporto della città con il nazismo.
Invece, il Borussia sembra offrire alla città una alternativa, un altro modo di presentare sé stessa alla Germania e al mondo, una alternativa che i cittadini accettano con orgoglio, rendendo la loro squadra motivo di vanto. È impossibile passeggiare per Dortmund e non vedere almeno due persone al giorno con addosso vestiti che richiamano il club, una tendenza che può essere notata in modo quasi uguale tra gli uomini e le donne di Dortmund a testimonianza dell’universalità del legame verso la squadra.
Questa è la passione alla base di una delle tifoserie più ammirate d’Europa, una che non solo vanta lo stadio più grande di Germania, ma anche una presenza media da capogiro, che sfiora e spesso supera gli 80.000 per le partite casalinghe, mentre per quelle europee si è dovuto accontentare di un ridotto 65.000 a causa delle normative UEFA che non hanno permesso la vendita di posti in piedi.
In questo contesto, trovare un biglietto, soprattutto nei settori “caldi”, diventa una impresa, resa almeno in parte complicata dalla complicità del club, che mette a disposizione in modo accessibile i biglietti a tutti i soci del club, che come per (quasi) tutte le società calcistiche tedesche devono possedere almeno il 51% delle quote del club. Per tutti gli altri, l’unica opzione è un call center talmente intasato da essere tenuto aperto 24 ore su 24, oppure sperare nel mercato secondario, che però per le partite di campionato viene riservato sempre ai soli soci.
Probabilmente a causa delle regole UEFA sulla compravendita dei biglietti, le partite di Champions League vengono gestite in modo più lineare, permettendo a tutti di acquistare i biglietti di chi non riuscirà ad andare. Probabilmente i fan del Borussia non saranno contenti di dover competere per trovare uno dei già ridotti biglietti disponibili con turisti e tifosi occasionali, ma è anche vero che di turisti a Dortmund se ne vedono ben pochi. Nonostante questo, i biglietti di seconda mano nella Südtribune, la casa del celebre “Muro giallo”, appaiono davvero raramente e con la durata di un miraggio, riuscire ad accaparrarsene uno richiede una discreta dose di fortuna e tempo libero.
Per questo, quando dopo una settimana di controlli pluriquotidiani, mi si è presentata l’occasione, non ci ho pensato due volte e ho immediatamente acquistato (a prezzi più che popolari data la richiesta e l’evento) il mio “Stehplatz”: da quest’anno infatti la UEFA ha deciso di tornare sui propri passi e di permettere la vendita di posti in piedi in Inghilterra, Germania e Francia. Per la prima volta nella sua storia il Borussia potrà contare su oltre 80.000 tifosi per una partita di Champions League, dal momento che nella partita contro il Copenhagen del 6 settembre il totale si era fermato a 70.700.
La partita ha significati diversi per le due squadre in campo: il Borussia arriva da due partite senza vittoria in campionato, con la sconfitta pesante sul campo del Köln e il pareggio arrivato solo all’ultimo respiro contro il Bayern, ma in Champions League ha finora fatto tutto alla perfezione, inclusa la vittoria per 1-4 in terra spagnola della settimana precedente, e ha già oggi la possibilità di qualificarsi per gli ottavi con una vittoria, sfruttando soprattutto il passo falso del City che a Copenhagen non è andato oltre lo 0-0 per potersi giocare il primo posto nel girone.
Il Siviglia, per contro, sta attraversando un periodo di crisi, e se la vittoria è l’unico risultato che lascia aperto il discorso qualificazione, anche un pareggio può dare morale a una squadra in difficoltà – chissà che poi, scendendo in Europa League, il Siviglia non decidesse di ricordare a tutti di chi è quella competizione…
“Il calcio è una cosa complicata” mi racconta un tifoso spagnolo mentre camminiamo verso lo stadio “non si può dare la colpa del brutto momento a una causa sola. E quando le cose iniziano ad andare male, la squadra entra in una spirale negativa, e la sfortuna, gli infortuni, gli arbitri ti sembrano tutti contro”. Ciò nonostante, sembra mantenere un certo ottimismo per l’incontro, e con lui gli altri tifosi andalusi che camminano e accennano anche qualche coro, con una esigua scorta della polizia, lì più per obbligo che per necessità, in un’atmosfera distesa e pacifica ma trepidante di attesa per la partita.
Mentre mi avvicino lo stadio resta nascosto da alcuni edifici prima e dagli alberi poi, lasciando solo intravedere la cime degli enormi sostegni gialli ormai illuminati nel cielo serale sempre più scuro, mentre l’aria intorno a me inizia a profumarsi con i classici odori dei luoghi di raccolta tedeschi: currywurst, patatine, brezen e, ovviamente, birra a fiumi che i tifosi comprano con la “Herrenhandtasche”, ovvero borsetta da uomo: un sistema venduto dentro lo stadio che permette di trasportare sei birre contemporaneamente con una mano sola. Ci sarebbe ad onor del vero anche una “Frauenhandtasche”, la versione femminile con solamente – si fa per dire – cinque birre di capienza. Lascio ai lettori l’onere di decidere se questi nomi siano politicamente scorretti.
Una volta ai cancelli, il giallo e il nero dominano interamente la scena, e nel frattempo inizio a osservare le magliette di chi è intorno a me: i più vissuti con indosso la magia di Chapuisat, i più giovani con i nomi di Bellingham e Haaland, i romantici con le maglie di Schmelzer, addirittura qualcuno con la maglietta di Márcio Amoroso, vecchia conoscenza del calcio italiano tra Parma, Udinese e Milan.
Mentre cammino verso la Südtribune decido di prendere una birra anche io, con il sistema tutto tedesco del “Pfand” (cauzione): la birra costa 4,70€, ma la pago 6,70€: i due euro in più sono per il bicchiere, che posso scegliere se tenere o restituire in cambio dei miei soldi. Decido di tenermi il bicchiere, sul quale sono stampati Bellingham e Haaland e la scritta “Auf geht’s Dortmund” – Forza Dortmund.
Salgo le scale verso il settore 83 e ammiro i murales che le decorano, come quello dedicato a Dedê, una leggenda del club degli anni 2000. Lo steward controlla il mio biglietto e mi fa entrare: lo stadio è ancora molto vuoto, manca un’ora al fischio iniziale e alcuni tifosi sono sicuramente ancora nel Biergarten adiacente allo stadio. La Südtribune però è già quasi al completo, costringendomi ad arrampicarmi fino in cima al mio settore per prendere posto.
Intorno a me vedo tanti uomini, ovviamente, ma anche una buona parte di donne e di bambini, che fanno capire come la curva nonostante il calore sia un luogo assolutamente sicuro e per tutti. Le bandiere sono ancora ferme, ma la curva inizia a scaldare la voce, prima con la marcia trionfale dell’Aida, che viene fatta risuonare dagli altoparlanti mentre la squadra entra in campo per il riscaldamento, e poi con la suggestiva sciarpata sulle note di “You’ll never walk alone” (anche qui, lascio a voi giudicare se si tratti o meno di appropriazione culturale).
La partita inizia, e il Dortmund cerca subito di imporre il proprio gioco, facendo possesso nella metà campo avversaria. È però il Siviglia ad avere la prima occasione, con un tiro da circa 11 metri che viene spedito alto da Rakitic, e ad essere in generale più pericoloso con le ripartenze sfruttando due esterni di qualità come Lamela e Suso.
Il Borussia non riesce a coinvolgere la propria punta Modeste, che dà un turno di riposo all’ enfant prodige Moukoko, che a nemmeno 18 anni si sta ritagliando un posto importante in prima squadra. È proprio il Siviglia a passare in vantaggio poco prima del ventesimo minuto, su una punizione dalla sinistra battuta alla perfezione da Rakitic che Nianzou spinge oltre le braccia di Kobel con un colpo di testa imparabile. Sarà l’unico gol segnato sotto il muro giallo per tutto l’incontro.
Il BVB cerca di rimettere le cose in pari e ha anche una grande occasione per farlo quando il pressing porta a un recupero palla nella trequarti avversaria, ma l’ala destra Adeyemi sbaglia il passaggio per il compagno solo al centro dell’area, regalando palla al portiere avversario. Sotto di me, i tamburi suonano incessantemente e la curva canta all’unisono e salta, facendola sembrare un’onda che si alza e si abbassa ma che non smette mai di muoversi.
Forse anche per la spinta del proprio pubblico, il Borussia riesce a trovare il pareggio al 34° grazie ad un’altra azione sulla destra, che trova Bellingham in mezzo all’area che con un colpo al volo indirizza in rete il pallone.
La partita scorre verso l’intervallo senza grossi sussulti, e io ho deciso che è arrivato il momento di provare a raggiungere la parte bassa della tribuna, dove nascono i cori che rimbombano poi per tutto lo stadio. Il tifo organizzato a Dortmund non ha la stessa importanza che in altre città della Germania, con solo due gruppi, i Desperados, che hanno come simbolo un cowboy, e il gruppo Unity. C’era un terzo gruppo, i Jubos, che però si sono sciolti nel 2020, dopo 15 anni di attività, volendosi separare dal calcio moderno e dalla sua commercializzazione.
Sempre in contrasto con quanto accade in altre città tedesche come Francoforte, Amburgo o Berlino, gli ultras di Dortmund sembrano non avere nemmeno una particolare connotazione politica, nonostante abbiano preso delle decisioni importanti in passato, come ad esempio boicottare lo stadio per protesta contro le restrizioni dovute al COVID-19, come testimonia anche una scritta fatta col pennarello fuori dallo stadio che recita “Scheiß Corona, Scheiß S04, Scheiß DFB” ovvero “Fanculo il corona, lo Schalke 04 e la DFB (federcalcio tedesca, N.d.A.)” Comunque, so bene che la zona vicino ai tamburi non sarà accessibile, e cerco di avvicinarmi quanto posso. Dovrei entrare in un settore che non è il mio, non essendoci posti a sedere la missione non sembra poi così difficile. Si complica un po’ quando noto che anche nell’intervallo gli steward controllano i biglietti di chi vuole rientrare sugli spalti, e allora capisco che per entrare serviranno due requisiti:
- Una discreta faccia da culo
- Uno steward non troppo zelante
Dopo una rapida occhiata trovo il mio uomo, un ragazzo sui 30 anni che sembra molto sotto agli standard tedeschi in quanto a voglia di lavorare, gli mostro il mio biglietto da lontano e mi fa cenno di entrare. La vista, dai piani bassi della Südtribune, è più o meno questa:
Capisco di non essere stato il solo ad aver avuto questa idea, e per i primi dieci minuti del secondo tempo sono schiacciato come una sardina mentre i ritardatari cercano di trovare un posto libero che probabilmente non c’è più, costringendoli a trovare soluzioni alternative per restare nel settore. Finalmente la situazione si stabilizza e posso tornare a concentrarmi sulla partita, che in realtà è abbastanza avara di occasioni nonostante entrambe le squadre giochino per la vittoria.
L’unica vera occasione della ripresa arriva sui piedi di Lamela, che sugli sviluppi di calcio d’angolo ha una palla perfetta a pochi passi dalla porta, ma la spedisce addosso al portiere avversario mantenendo la partita in equilibrio. Intanto, lo speaker annuncia quello che già sapevo: la capienza ufficiale supera gli 80.000, e lo stadio è tutto esaurito. Col passare dei minuti la spinta del Westfalenstadion si intensifica, cercando di portare la squadra verso un gol che significherebbe vittoria.
Il Siviglia inizia invece a giocare in modo più prudente e a perdere tempo in qualche occasione, prolungando gli infortuni e facendo correre il cronometro. I minuti finali non sono un assedio dei padroni di casa, ma lasciano comunque sperare tutto lo stadio in un’altra rete nel recupero, come successo pochi giorni prima.
I cori, così come in tutto il mondo, sono semplici, forse anche più del solito (in modo anche divertente, come quando cantano “Bo-rus-si-a / Borussia BVB” che è un po’ come se un interista cantasse “Inter, Fc Internazionale”), ma compiono il loro dovere di coinvolgere quante più persone possibili e confermano in parte la mia teoria sul Borussia come via di riscatto per la città e i suoi abitanti quando sento cantare “Nur der BVB / Unser ganzes Leben / Unser ganzer Stolz” ovvero Solo il BVB / Tutta la nostra vita / tutto il nostro orgoglio. Canto anche io, mentre un gruppo di ragazzi accanto a me si divide una canna e continua a urlare nonostante la voce roca dal fumo fino alla fine dei quattro minuti di recupero stabiliti dal quarto uomo.
La rete non arriva e la partita termina 1-1, un risultato tutto sommato giusto per quanto visto in campo. Sembrano pensarla così anche i tifosi di casa, che nonostante la mancata vittoria mantengono il buonumore mentre escono dallo stadio.
Meno di buonumore sono probabilmente i tifosi del Siviglia, che iniziano a lanciare oggetti verso il settore vicino provocando i tifosi tedeschi e ferendone almeno uno, tedeschi che rispondono cercando di scavalcare le barriere e richiedendo l’intervento della polizia, giustificando così le premure della UEFA. Non si tratta comunque di nulla di eccessivamente grave e l’ordine torna abbastanza rapidamente sugli spalti che si vanno svuotando.
La serata si conclude dunque e gli spettatori tornano alle loro case, oppure scelgono di proseguire la serata in una delle svariate Kneipe del vicino quartiere Kreuzviertel, magari per parlare della partita davanti a un’altra pils da mezzo litro. Rimane in parte la delusione per non aver visto un gol dei padroni di casa sotto la loro curva, ma il Westfalenstadion ha saputo compensare una partita non troppo entusiasmante con una atmosfera di livello mondiale, offerta a prezzi accessibili e dimostrando come il calcio possa far convivere il lato economico e quello passionale, senza dover tradire i tifosi storici in nome dei profitti aziendali.