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Antoine Griezmann è tornato dai Mondiali di Qatar 2022 con una capigliatura particolare, un rosa acceso che ha accentrato su di sé i riflettori dello spettacolo offerto nei mesi finali di campionato.
Donatello chez le fauves
Il 17 ottobre del 1905, tra le vie parigine in fermento, veniva distribuito il quotidiano “Gil Blas”, nel quale era stato pubblicato l’articolo che Vauxcelles aveva redatto in vista della cerimonia di apertura del Salon d’Automne. Nel pezzo, che riempiva due pagine intere della rivista, il noto critico d’arte recensiva sala per sala le opere esposte nella mostra. Lo stesso, non appena varcata la soglia della Sala VII, esclamò: “Donatello chez le Fauves!”.
Vauxcelles, infatti, si trovava davanti ai propri occhi, esattamente al centro della sala, due statue di chiara ispirazione rinascimentale ma al contempo, affisse sulle pareti, vi erano quadri di artisti semisconosciuti che spiccavano per i toni accesi e violenti dei colori utilizzati sulla tela. “Cauge aux fauves”, ‘una gabbia di belve’! Una reazione che tradiva sorpresa mista ad orrore, misto a rifiuto nell’accettare un simil affronto.
La cosa lo incuriosiva? Improbabile. La cosa incuriosiva gli altri? Certamente. Per tale motivo le Belve avevano riscosso un tale successo da essere i protagonisti indiscussi della mostra di quell’anno e per gli anni avvenire. Ai pittori coinvolti, poi, il soprannome piaceva e molto, al punto che lo hanno utilizzato per identificare la neonata corrente artistica. Nasce così, a tutti gli effetti, il Fauvismo.
L’importanza del colore
I Fauves non hanno una dichiarazione d’intenti, un proclama affisso negli atelier parigini o sui muri dell’enorme città francese. Essi guardavano con diffidenza le altre correnti e solo alcune erano fonti di ispirazione, del resto “siam tutti figli di Cezanne”, così recitavano.
Non ci sono schemi predefiniti, non esistono contorni nel disegno, esiste il colore che prende forma, e quindi vita, non appena il pennello tocca la tela ancora spoglia.
Il colore è il mezzo per esprimere il sentimento del pittore, è veicolo del messaggio che lo stesso vuole mandare a chi ammira le opere. Ed è un colore violento e deciso nei toni, avvolgente e quasi adulatore nell’insieme.
Tutto ciò mi ha portato ad elaborare un assurdo paragone con il cholismo, una filosofia di vita che prescinde dal mero aspetto calcistico, ma affonda le radici in sentimenti forti quali passioni, sofferenze e gioie. Tutto inizia all’indomani della doppia sfida di Champions League tra Manchester City e Atletico de Madrid, Josep Guardiola i Sala e Diego Pablo Simeone. Il Donatello, appunto, tra le belve.
Donatello chez les… Mad, Bad and Dangerous
La copertina del Mirror Sport del giorno dopo, poi, ha stuzzicato e non poco il collegamento.
“MAD, BAD, AND DANGEROUS”, il riferimento del quotidiano inglese è, ça va sans dire, alla banda del Cholo Simeone alle prese con il tentativo di ribaltare la sconfitta dell’andata con il solo atteggiamento dirompente e fuori le righe che siamo abituati a vedere, con la (quasi) scontata rissa finale.
Quello “shameful” nel sottotitolo richiama molto commenti vauxcelliani. Proprio come Vauxcelles, anche gli inglesi guardano alla partita dei giocatori dell’Atletico Madrid facendo venir fuori il ritratto di quelle Fauves. Anche i Colchoneros non hanno un manifesto d’intenti calcistico, si lascia spazio prevalentemente alle emozioni con concetti come “Coraje y Corazon”, canzoni che recitano “que manera de suffrir… que manera de soñar”.
Nulla, dunque, che abbia a che vedere con il manifesto guardiolesco, una “science délicate”, esteticamente impeccabile, perfetto nelle forme, ma a tratti complesso e freddo. I colori intensi, sporchi e violenti delle Bestie dell’Atletico, invece, prendono vita “partido a partido”.
Diego Pablo Simeone, in tutta questa lunga premessa possiamo accostarlo ad Henri Matisse, per virtù, pensiero ed ispirazione. Senza considerare l’opinione che molti hanno sugli stessi. Vauxcelles in un numero del Gil Blas del marzo 1907 definisce Matisse un “prete superbo”, officiante di una cappella dove vengono battezzate poche decine di “catecumeni innocenti”.
Dufy e Griezmann, gli allievi
Tra i “catecumeni innocenti” battezzati da Matisse vi è Raoul Dufy. Questi è nato a Le Havre, una città difficile perché la vita sembra procedere come bolidi su montagne russe, un’infanzia leggiadra ad assistere agli spettacoli del padre, seguita da una giovinezza pesante, che lo ha costretto a lavorare tutto il giorno per potersi pagare gli studi presso la Scuola di Belle Arti di Charles Lhuillier (rinomata per essere la scuola in cui si sono formati pittori famosi, Monet e Braque su tutti).
Raoul era un ragazzo di campagna che fino ad allora non aveva mai avuto modo di esprimersi a pieno attraverso la pittura, eppure l’insegnante nota subito qualcosa e fa capire al giovane che ha talento e che deve crederci. Terminato il percorso accademico, è dall’incontro con Matisse, avvenuto quando Raoul aveva poco più di 20 anni, che il pittore prende coscienza di quale sarà la sua strada. Il promettente Dufy assorbe gli insegnamenti di Matisse, abbraccia le idee rielaborandole sulle tele, salvo poi acquisire uno stile tutto suo che lo rende distinguibile tra le altre “bestie”.
Antoine Griezmann nasce a Mâcon, nella Loira, da padre tedesco e madre portoghese. Purtroppo per lui (o per loro) la vicina Lione e le altre squadre faticano a riconoscere il talento in un ragazzo visibilmente magrolino e non capace di poter competere a chissà quali livelli. Così, giovanissimo, decide di trasferirsi addirittura in Spagna, firmando con la Real Sociedad, guidato dalla mano esperta di Lasarte prima e Montanier dopo.
È una crescita inattesa, una salita percorsa con lo scatto di chi sa che può arrivare alla cima tutto d’un fiato per voltarsi indietro e capire chi ne “le peloton” formato dai suoi detrattori era rimasto a valle. Così Griezmann, proprio come Dufy, a poco più di 20 anni, decide di cambiare aria, decide che è venuto il momento di trovare la propria strada e questa gli viene indicata dal suo Matisse, Diego Pablo Simeone.
32 ans ou la Vie en Rose
Uno dei quadri di Dufy maggiormente apprezzati è “La vie en rose”, come il brano di Édith Piaf celebre in tutto il mondo. Non tutti sanno, però, che il titolo completo dell’opera è “Trente ans ou la vie en rose” e ciò è spiegato dal fatto che l’autore del quadro ha impiegato trent’anni per la sua realizzazione.
Quello che appare come un quadro semplice, con disegni grossolani, in realtà nasconde la summa delle esperienze professionali e di vita di Dufy stesso. Non è un caso che Raoul fu pittore, scenografo, illustratore di Guillaume Apollinaire, decoratore di tessuti presso Paul Poiret e Bianchini-Férier. Più che nella pittura, Dufy sperimenta l’utilizzo dei colori nell’arte decorativa delle stampe dei tessuti, non è un caso, infatti, che la suddetta opera dia l’impressione di essere stata realizzata su una tela di seta.
Nel predetto quadro linee e forme sono dettate dal colore che cattura l’attenzione dello spettatore, il rosa è declinato in gradazioni dolci ma d’impatto e veicola l’occhio per tutta la tela donando una sorta di pacatezza. L’opera contribuisce a rafforzare il soprannome postumo attribuito a Dufy, ossia “Pittore della Gioia”.
E semmai dovesse esserci un parallelo “Calciatore della Gioia”, quello è proprio Griezmann, grazie al suo perenne sorriso abbinato all’eleganza dei movimenti o all’estro del suo mancino che creano nello spettatore un senso di rassegnazione alla quiete.
Il colore rosa dei capelli di Antoine Griezmann accende i riflettori sullo spettacolo offerto nei mesi finali di campionato, veicola l’attenzione degli occhi al corpo minuto di un ragazzo capace di alternare delicate pennellate a violenti tratti, coprendo vaste zone del campo in largo e in lungo (ma anche in alto). Il “periodo rosa”, proprio come il quadro, è la rappresentazione di tutto quello che Griezmann è stato come calciatore, ossia una seconda punta, un centravanti, trequartista, ala, mezz’ala, mediano, terzino.
(📷/GettyImages)
Nei 90 minuti egli può giocare ovunque, purché venga messo nelle condizioni di fare una cosa per lui abbastanza semplice, ossia eccellere. È un giocatore camaleontico, capace di modellare il gioco a seconda della posizione in cui si trova in quel momento, anzi, nella posizione che lui decide di occupare per eseguire quella determinata giocata.
Il suddetto periodo coincide con la seconda metà della stagione calcistica appena conclusasi e che ha visto l’attaccante francese quale assoluto protagonista, appena qualche giorno dopo la fine del Mondiale di Qatar 2022 giocato tra novembre e dicembre dello stesso anno. A Madrid sono tornati tutti i nazionali, fatta eccezione per i campioni del Mondo Correa, De Paul e Molina ma non il finalista Griezmann.
Il n. 8 dei Colchoneros alla Vigilia di Natale è presente al centro d’allenamento per preparare la partita contro l’Elche il 29 dicembre. È lo stesso Griezmann di sempre, non fosse per la chioma di un colore rosa acceso che esibisce con il solito sorriso che lo contraddistingue. La tinta è sprovvista di un significato simbolico, in casa le due bambine e la moglie hanno votato per il colore rosa, Antoine ed il figlio, invece, l’azzurro. Vince la maggioranza, ovviamente.
In “Le retour de l’Huit”, la sera del 29 dicembre, il Metropolitano riaccoglie il francese già in divisa da gioco con uno scrosciante applauso, lui applaude in segno di ringraziamento e guadagna il centro del campo avvicinandosi all’uscita del tunnel degli spogliatoi. Vi sosta perché nel frattempo stanno arrivando i tre argentini campioni del mondo e vuole essere il primo ad accoglierli.
Prima di sconfitto, Antoine è un fedele compagno di squadra, pertanto una finale persa non potrà mai andare oltre la gioia di vedere un compagno vincere. Per Griezmann parlano gli occhi, che sorridono, come sempre. Fischio d’inizio, il francese serve due assist, di cui uno intelligentemente fulmineo per un Joao Felix all’ultima partita in maglia biancorossa, finisce 2-0. Griezmann esulta sotto la curva, per il guizzo in occasione dell’assistenza e per il portoghese in rotta con l’ambiente.
È la prima di 24 partite in cui Antoine giocherà 2091’ su 2160’ disponibili, (l’Atletico è fuori dalle coppe già ad inizio inverno) in cui colleziona 10 gol e ben 13 assist.
Tutto sembra naturale per Griezmann, complice una condizione al top ed una mente libera di giocare come vuole. È proprio la libertà di cui gode Antoine l’elemento dirimente per invertire la rotta della sua squadra. Potremmo sostenere che Griezmann abbia ripreso dove lo avevamo lasciato, ossia in finale contro l’Argentina, ma dovremmo senz’altro affermare che, in realtà, è il Griezmann di sempre.
Tuttavia questa volta è diverso, gli altri lo seguono e lo assecondano nella gioiosa follia. Ci sono due partite in cui Antoine fatica maggiormente, ossia nel doppio confronto contro il Barcelona, ma è normale, squadra più forte e lanciata verso la Liga, poi effettivamente vinta.
Nel periodo rosa del “calciatore della gioia” possiamo annoverare colpi di classe che solo un artista del suo calibro può offrirci. Come non pensare a “Valladolid”, una partita difficile da sbloccare causa blocco basso ed appiattimento delle linee grazie un 5-3-2 stretto e corto. Un buon modo per neutralizzare la manovra dell’Atletico, il quale sa rendersi molto pericoloso per le vie centrali.
Allora capitan Koke vede la luce dall’unico spiraglio del muro nemico, è Griezmann che si sta avvicinando attraendo un marcatore, riceve il pallone e con un tacco immaginifico serve Alvaro Morata che nel frattempo corre in profondità per un gol alla Alvaro Morata e l’1-0. Il 2-0 è un gol balisticamente astratto, con un semitacco ossia pianta del piede/interno. Il 3-0 è una pennellata dolce da calcio piazzato dalla trequarti per Hermoso, il Braque di questa lunga storia e che forse ne merita una tutta sua.
In “Hommages” vi è un omaggio dell’Atletico Madrid all’Athletic Club de Bilbao, si festeggia l’anniversario della squadra da cui derivano i colchoneros, pertanto al Metropolitano questi ultimi scendono con completo arancione, lasciando ai Baschi la divisa biancorossa. E poi c’è l’omaggio di Griezmann al calcio. Il francese si trova nella propria metà campo, attende che il giovane Barrios, stretto dagli avversari, si affidi a lui perché il passaggio nello spazio per Depay non lo legge. Linea di passaggio che trova Griezmann seppur disturbato da due marcatori.
Non è un’ottima sponda quella dell’olandese e la palla viene sporcata anche da un avversario, finendo nella terra di nessuno. Ed è allora lì che si avventa il nostro calciatore, il quale approfitta della dormita colossale di Vesga, spettatore non pagate ma appagato, e si invola rapidamente verso l’area di rigore, poi di diagonale mancino batte il portiere per l’1-0 finale. L’esultanza vigorosa di Griezmann sotto la curva è espressione finale della brisance (dirompenza) espressa in occasione del gol.
Ne “La tradition” i colchoneros scendono in campo contro il Mallorca con il completo blu e bianco che richiama la prima maglia in assoluto utilizzata ormai 120 anni fa. Griezmann si mette in evidenza soprattutto per l’assist del 3-0 con la quale archivia la pratica e consegna altri tre punti preziosi per la sua squadra.
È uno di quegli assist a cui siamo abituati. Un assist realizzato nella frazione di un secondo, un interminabile momento in cui Griezmann, situato nella propria area di rigore, dapprima effettua una scansione per Carrasco che si sta involando a rete, poi il mancino al volo a superare l’ultimo uomo avversario. Per il belga un gol comodo in 1 vs 1 con il portiere.
In “Quatre”, Griezmann per la quarta volta in questo determinato periodo attende il termine del cerimoniale pre-partita per prendere la scena tutta per sé. È successo con l’omaggio ai Campioni del Mondo argentini, con il Bilbao e con la maglia dei 120 anni. Quella sera al Metropolitano Griezmann assiste al suo allenatore venir premiato quale Leggenda del club dopo aver tagliato il traguardo delle 613 panchine in rojiblanco, superando addirittura Luis Aragones.
Griezmann attrae i riflettori con un assist fornito con i giri giusti a Memphis Depay in profondità tra due difensori. Al minuto 53 prova la sponda acrobatica di testa per Koke, in teoria è un principio di uno scambio tra i due, invece Griezmann prende il pallone, se lo aggiusta sul mancino e poi da oltre 30 metri trafigge Bono (tiro da 0.04 xG).
L’Atletico chiude la partita con un tennistico 6-1, per Griezmann solita combinata gol+assist, a cui devono essere aggiunti 3 passaggi chiave, 2 grandi opportunità create ma soprattutto 8 contrasti su 12 vinti.
In “Trop pour le Cadiz” non si banalizzi la prestazione alla luce dell’avversario, ma la si elevi per quello che il nativo di Macon sia stato in grado di proporre sul rettangolo verde. In palio non v’era la finale di Champions, né tantomeno una gara mondiale, ma “solo” il secondo posto in Liga. Secondo posto che solo a dicembre distava un’infinità ed era stato sin allora occupato dal Real Madrid.
Le note fragilità della rosa del Cholo sono state risanate grazie al Giocatore della Gioia, tuttavia, restavano latenti nelle teste dei giocatori. Chiude la pratica in poco più di mezz’ora, un gol realizzato nel traffico giallo ed uno in scivolata anticipando i marcatori, dopo un appoggio non perfetto di Lemar. Sbloccato il tasto, la partita scorre tranquilla verso la goleada.
In “Le final de saison”, il rosa è sbiadito, consumato dalla fatica della rincorsa al secondo posto che purtroppo sfugge di mano. Nelle ultime cinque partite Griezmann rifila 2 gol e 4 assist, cerca di spingere i suoi verso l’insperato obiettivo, tuttavia pesano e molto i punti persi contro Elche, Espanyol (rimontato dopo un parziale di 3-0) e Villarreal (con gol al 92’). Il terzo posto, seppur deludente sulla carta perché è l’obiettivo minimo della banda del Cholo, è, invero, preso come spunto di partenza per la stagione successiva.
La squadra ha proposto un ottimo calcio, si è associata alle nuove idee dell’allenatore e ai piedi di Griezmann con gli ottimi risultati annessi. La stagione ventura nasce sotto una nuova luce (anche se dal colore ignoto) e la n. 7 che ritorna al legittimo proprietario è senz’altro un inizio ben augurante. Una cosa è certa, ossia tutte le volte che guarderemo giocare Griezmann non faremo altro che pensare a quelle parole d’amore di Edith Piaf: “Il est entré dans mon coeur, une part de bonheur dont je connais la cause… je vois la vie en rose”.
La fée électricité – Qatar 2022
Concludiamo questo paragone tornando ancora a ritroso, per scoprire il momento immediatamente precedente al periodo rosa di Griezmann. Un passo indietro doveroso se si vuole continuare ad accostarlo a Raoul Dufy. Qatar 2022 è l’ennesimo Mondiale che il talento dell’Atletico de Madrid gioca ad altissimi livelli. I semplici numeri non confortano il discorso (soli 3 assist anche se pesantissimi) ma, come nell’arte, il messaggio arriva attraverso gli occhi.
Agli occhi degli spettatori di ogni parte del mondo è risaltato questo suo “dono” dell’ubiquità, ossia la capacità di essere ovunque in campo. Conosciamo lo spirito di sacrificio di Griezmann, appena può ripiega in difesa per dare una mano ai suoi compagni di squadra. Ecco, la sua centralità contiene anche questo aspetto, ma non è l’unico.
La posizione di Antoine è, sulla carta, quello di trequartista nel 4-2-3-1 pensato da Didier Deschamps, tuttavia, lo stesso è un tuttocampista, capace di fare ponte tra la difesa e l’attacco, sia in fase di possesso che quelle di non possesso. Griezmann diventa il centro del gioco, un centro attraverso il quale passano tutte le azioni positive e negative della Francia.
Volendo cogliere l’ultimo estremo parallelismo diretto con Dufy, Antoine Griezmann rappresenta l’energia elettrica che l’Autore eleva a Fata nell’opera di “Fée Électricité”.
La centralità del soggetto in questione è il messaggio chiave che Dufy raccoglie da un’idea, già radicata nel 1937, dell’essenzialità della corrente elettrica, così come la Compagnie parisienne de distribution d’électricité per l’Esposizione internazionale delle Arti e delle Tecniche dello stesso anno, aveva così individuato: “Mettere in evidenza il ruolo dell’elettricità nella vita nazionale, e in particolare il ruolo sociale fondamentale svolto dalla luce elettrica”.
Il dipinto è infinito, proprio come le variabili di utilizzo che può permettere la luce, in esso Dufy narra la storia dell’uomo, partendo dall’utilizzo che ne fanno gli Déi, in particolare Zeus, fino ai colori accesi della Modernità, senza contare che in primo piano vengono ritratti le illustri menti che contribuirono alla scoperta. L’opera sviluppa il suo racconto attraverso il colore che pare conoscere tonalità diverse a mano a mano che si evolve l’uomo.
Le scene ritratte, seppur diverse, sembrano perfettamente unite grazie all’utilizzo sapiente del colore da parte dell’artista. La scoperta della luce elettrica mette in movimento l’essere umano, permette di acquisire nuove conoscenze e nuovi modi di percepire il mondo collegandosi a vicenda. Trattandosi di Dufy, non è solo arte, è l’illustrazione di un racconto storico che però tradisce il ruolo idilliaco della luce, quale musa ispiratrice.
I movimenti di Griezmann, tra progressioni energiche e lampanti scatti, scatenano un’elettricità contagiosa che pervade anche i compagni di squadra, che permette loro di trovare strade alternative e sconosciute in quel momento. Una linea di passaggio trovata o creata dal nulla, un recupero palla insperato, un cross al bacio tale da limitarsi ad accompagnare la palla in porta. La connessione che accende il suo mancino è l’anima viva della Francia, non fosse che senza di lui ci si sente un po’ persi perché, appunto, manca la luce.
E non fa niente se non è riuscito a diventare il Capitano della Nazionale della Francia, ormai poche cose sono chiare (e tutto sommato accettate): la Tour Eiffel è il monumento francese più famoso, Mbappé il giocatore francese più acclamato, Raoul Dufy è una gemma nascosta dell’arte mondiale, Antoine Griezmann è un diamante del calcio mondiale.