È la sera del 29 agosto 2019 e al Forum Grimaldi di Monaco si sta svolgendo la solita impomatata e poco trasparente cerimonia del sorteggio Uefa, per le competizioni europee che inizieranno da lì a poco. Nonostante il premio di miglior giocatore andrà meritatamente a Virgil Van Dijk, fresco vincitore della Champions League con il Liverpool di Klopp, la luce dei riflettori punta leggermente più a destra dove fianco a fianco, per la prima volta in tanti anni, siedono Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. È un momento iconico.
Solo qualche mese prima avevano giocato un mondiale opaco, in cui erano sembrati impotenti nonostante qualche momento di grandezza, e avevano perso così il loro personale duopolio sul Pallone d’Oro, durato dieci anni esatti. La loro egemonia sul calcio mondiale sembrava giunta al termine. E invece, un anno dopo, eccoli di nuovo lì. Quella sera si classificheranno secondo e terzo, ma Messi si rifarà su Van Dijk col sesto Pallone d’Oro in carriera di lì a pochi mesi e Ronaldo sarà con lui sul podio, ancora una volta.
Durante la loro rivalità non hanno fatto trasparire altro se non interviste preparate, fin pianificate, che sono sempre scorse via con qualche frase di circostanza, rendendo necessario scavare tra gesti e sguardi scambiati per poter trovare qualche spunto più veritiero. Ma questa volta è diverso. Dopo qualche parola balbettata da Messi, non senza qualche imbarazzo, ci pensa Ronaldo a parlare per tutti e due dicendo finalmente qualcosa di significativo. Ci ricorda che da quindici anni condividono quel palco, loro due, e che non era mai successo prima né probabilmente succederà più. Era già abbastanza evidente in quel momento come parlasse più per sé che per l’altro, ma a distanza di tre anni, sembra tutto ancor più chiaro.
Lo sapeva. In cuor suo quel Ronaldo, sul palco, sapeva che Messi avrebbe vinto a breve il suo sesto Pallone d’Oro rompendo l’equilibrio tra i due e sapeva, soprattutto, che molto difficilmente lui sarebbe stato in grado di ristabilirlo nuovamente. Per questo vuole ricordarci come i due siano legati, come ogni successo di Leo sia in realtà un successo anche suo, perché nessuno parlerà mai di Messi senza citare lui, perché lui sarebbe il più grande giocatore di sempre se non ci fosse quello seduto alla sua destra. È la prima volta che Ronaldo, con una frase apparentemente autocelebrativa e persino rivendicativa, sta ammettendo una sua debolezza.
Per una volta però, non è retorica. Messi e Ronaldo sono stati così forti, così continui, l’uno grazie all’altro. Anzi, Messi è stato così grazie a Ronaldo, perché il contrario, anche se vero, è molto più marginale. Infatti, la determinazione, l’ego, il desiderio di primeggiare di Ronaldo sono evidenti a tutti fin dai primi anni della sua carriera. Sir Alex Ferguson ci mette molto poco a eliminare gli eccessivi ghirigori dell’esterno dribblomane arrivato dallo Sporting, trasformandolo ben presto in una macchina da goal che anno dopo anno renderà il suo gioco sempre più essenziale fino a ridurre al lumicino ogni aspetto che non sia strettamente legata al goal. Non mi stupirei se Ronaldo fosse convinto che la sua massima espressione di perfezione sia stata la scorsa stagione, in cui ha segnato 18 goal a 36 anni nel campionato più atletico e fisico del mondo, non offrendo alla sua squadra assolutamente nulla oltre alla mera realizzazione. Alla fine conta solo quello, no?
Messi, invece, ha una storia diversa. Se per Ronaldo essere al vertice è una questione di rivalsa verso il mondo intero, che di certo non gli ha risparmiato nulla nell’infanzia, per Messi invece giocare è già di per sé un miracolo divino e lo fa quasi più per ringraziare di poterlo fare che per altro. Oltre alle diversità di approccio, ci sono anche una componente più personale, di indole, e una legata alle persone che li hanno guidati durante i primi passi nel grande calcio. Ronaldinho, per esempio, ha da subito tenuto Messi sotto la sua ala protettiva e non esiste figura di campione più lontana dal modus operandi di Cristiano.
Ed è proprio in questo, nell’approccio mentale al gioco, che, anche grazie al trasferimento del portoghese al Real Madrid nell’estate seguente alla prima grande vittoria di Messi da protagonista – tra l’altro proprio contro lo United del rivale – l’influenza di Ronaldo ha un forte impatto sull’ex capitano del Barcellona. Il talento di Messi è sconfinato e la competizione serrata che gli offre Ronaldo è il perfetto propellente per fargli raggiungere vette che altrimenti sarebbero rimaste inesplorate.
La sublimazione di questo concetto si consuma durante i quattro Clásicos in tre settimane dell’aprile 2011. Messi arriva da due anni e mezzo da sogno: ha 24 anni, ha già vinto due Palloni d’Oro, il Triplete nel 2009 e nel 2010 è andato a un’unghia di Julio Cesar da rivincere la Champions League, affermandosi comunque come il nuovo padrone del calcio mondiale. L’arrivo di Mourinho in estate, dopo quello di Ronaldo l’anno precedente, ha alzato però l’asticella della competizione nonostante il Real Madrid sia stato per ora respinto con un sonoro 5-0 nel primo Clásico della stagione. Ma ora ce ne sono quattro consecutivi tra campionato, finale di Copa del Rey e le due semifinali di Champions. La tensione si taglia con un coltello: Real contro Barça, Mourinho contro Guardiola, e, ovviamente, Ronaldo contro Messi.
È il momento perfetto per alzare il proprio livello e la molla di Messi scatta subito nella partita di campionato, la prima delle quattro. Siamo ormai a recupero inoltrato con il punteggio inchiodato sull’1-1 da un rigore per parte. I marcatori, manco a dirlo, sono loro due. Dopo la manita dell’andata, il Real sembra aver preso le misure esasperando il castello basso di Mourinho, pur rimanendo sempre pronto a colpire in transizione da palla recuperata. Questo modo di giocare sembra innervosire tremendamente entrambe le squadre, e di sicuro innervosisce entrambe le stelle, vista la reazione stizzita che avrà Ronaldo qualche giorno più tardi sull’ennesima mancata pressione in avanti.
Ma restiamo a Messi. Con la partita ormai incanalata sui binari del pareggio – risultato peraltro non scomodo per i blaugrana avanti in classifica – l’argentino rincorre un pallone troppo esterno e, una volta realizzato di non poterlo agganciare, lo scaraventa dritto per dritto tra le prime fila del Bernabeu. Pepe – chi se non lui? – inveisce contro l’arbitro, ma Messi sembra il primo a stupirsi di quanto appena successo.
È la prima volta che lo vediamo così e dalla reazione del giocatore sembra che lui stesso sia stupito della propria esternazione, o come minimo che si sia reso conto dello stupore generale dei presenti. Veicolare questo tipo di agonismo e nervosismo dettati dalla pressione che genera un evento sportivo ai massimi livelli, soprattutto laddove condito da quell’escalation di tensione, è fondamentale per impattare nelle grandi partite senza diminuire i propri standard di gioco. Messi, semplicemente, non ne aveva mai avuto davvero bisogno e si trova ora davanti a una condizione nuova.
L’epilogo della Copa del Rey non fa che alzare il livello della competizione con Ronaldo che la decide nel primo tempo supplementare, dopo 103’ di battaglia primordiale. Un colpo di testa alle sue altezze, dopo che proprio Messi ha perso una palla sanguinosa lanciando la mezza transizione delle Merengues sulla sinistra che libera Di Maria al cross. Una finale ad altissima tensione, fin troppa per una partita di prestigio ma secondaria, che genera una vittoria altisonante per Mourinho contro Guardiola, con ripercussioni sulla filosofia di calcio dei due tecnici che durano ben… sei giorni. La fortuna di Messi, infatti, è che dopo una settimana andrà in scena il terzo atto: la semifinale di andata di Champions League.
Dopo un’ora di partita bloccata, con l’espulsione di Pepe a rendere persino più reattivo del solito il Real, comincia il personale show dell’argentino che culminerà in una doppietta storica. Se il secondo goal è frutto solo ed esclusivamente di un talento generazionale che gli permette di sgretolare la miglior difesa al mondo palla al piede e poi bucare Casillas cadendo e col piede sbagliato, è il primo goal ad attirare maggiormente la mia attenzione. La cattiveria con cui attacca il primo palo, da 9 puro, è l’aspetto che lo distanzierà dai grandi dieci del passato, che non hanno mai voluto, o più probabilmente potuto, fare questa tipologia di goal. È il talento a disposizione del risultato: Messi ha accettato di sporcarsi le mani, di rovistare tra i difensori nelle aree di rigore avversarie pur di trovare quei goal che possano impedirgli di perdere. Perché odia perdere e, finalmente, lo trasmette anche a chi guarda.
Passerà il Barcellona, che si aggiudicherà anche la seconda Champions League in tre anni, ma questo ci interessa il giusto: siamo entrati nel vivo di quel circolo vizioso che sta per portare Messi e Ronaldo in un’altra dimensione. Nella stagione successiva segnano 50 e 46 goal in Liga, che sarebbero entrambi il nuovo record di goal segnati in un singolo campionato europeo (Ronaldo poi ritoccherà il suo a 48). Ronaldo completa così la seconda di sei stagioni consecutive oltre i 50 goal in tutte le competizioni e Messi pone le basi per il numero record di 91 goal nell’anno solare 2012. Nella stagione successiva, l’argentino infatti rischia di ripetersi segnando 46 goal in 32 partite di Liga, tra cui il nuovo record di diciannove partite consecutive a segno. Un intero girone in cui segna la bellezza di 30 goal.
In questi anni sono letteralmente ingiocabili, guidano le due squadre migliori del mondo e c’è talmente tanta attesa per una possibile finale di Champions League tra loro che si dimenticano di vincere le rispettive semifinali, per due anni di fila. La stagione 2012/13 però è leggermente diversa, almeno per le squadre, sarà l’ultima sia per Mourinho che per Guardiola che vedono le loro macchine perfette cominciare a incepparsi e costrette ad aggrapparsi ai loro due campioni.
7 ottobre 2012, l’istantanea arriva ancora una volta da un Clásico: i due si presentano alla settima giornata di Liga in perfetta media – 6 goal a testa – e con tutti gli occhi del mondo puntati addosso. Come se niente fosse, si dividono ancora una volta il palcoscenico: goal di Ronaldo su assist di Benzema, pareggio di Messi con uno di quei goal caduti dal cielo, sorpasso dell’argentino su punizione, risposta del portoghese che fredda Valdés dopo un bel filtrante di Ozil. 2-2: doppietta di Messi, doppietta di Ronaldo, come tutto dovrebbe essere.
Questo dualismo perfetto ci aiuta a mettere nella giusta prospettiva la carriera di Ronaldo. Essere per così tanti anni un’alternativa credibile al miglior giocatore di sempre, rimanendo a un livello pressoché identico al suo, se non addirittura superiore in alcune stagioni, implica un talento purissimo che va ben oltre la retorica del gran lavoratore e professionista.
Perché, se da un lato sono convinto che senza il livello stratosferico messo sul tavolo dal portoghese non avremmo mai visto questo Messi, dall’altro è giusto celebrare Cristiano per quello che è stato: la più perfetta macchina da goal mai esistita, uno verso cui la palla sembrava attratta magneticamente, uno che non sbagliava mai. Destro, sinistro, di testa, di tacco, da fermo o in movimento. C’erano partite, o addirittura intere stagioni, in cui dava una sensazione di ineluttabilità mai vista prima. Quante squadre ci sono passate, magari dopo una bella vittoria 2-0 all’andata di una eliminatoria di Champions League: lo sapevi già che avresti dovuto fare i conti con lui. E questa è la più grande rappresentazione di grandezza che Ronaldo ha saputo esprimere, e come lui solo Messi.
La continuità offerta da Messi e Ronaldo, anno dopo anno, partita dopo partita, con tutti i riflettori puntati quasi esclusivamente su di loro, non era immaginabile e non ha eguali. Nessun altro nella storia è paragonabile a loro per quanto fatto dal 2008 al 2019, in cui a suon di prestazioni hanno cambiato la percezione e, di conseguenza, i parametri valutativi di ogni altro calciatore.
Oggi ci stupiamo quando un gran giocatore fa non dico una stagione, ma tre o quattro partite in calo non segnando o non fornendo assist. Ed è colpa di Messi e Ronaldo, che ci hanno abituato a rispondere “presente” ogni volta che guardavamo una partita per loro, collezionando stagioni da 40+ goal in campionato e 10+ in Champions League, come fossero una cosa normale. Hanno una media di due goal ogni tre finali di Champions, è la stessa media per cui Caressa parlava di Ronaldo Fenomeno come di un alieno, ed era la sua media goal in Serie A.
A proposito, le statistiche che reputo più alienanti fra tutte sono proprio i loro numeri in Champions League: 348 partite, 270 goal, 82 assist. Ma ve lo ricordate quando Raúl e Inzaghi elemosinavano goal in Coppa Uefa per arrivare al numero record di 70 goal in competizioni europee?
A questo punto io non so più cosa aggiungere e preferisco lasciar parlare i numeri: 2.136 partite, 1.604 goal e 581 assist, 12 Palloni d’Oro, 25 podi totali, 10 Scarpe d’Oro, 13 titoli di capocannoniere del rispettivo campionato, 9 Champions League, 18 campionati nazionali, un Europeo e una Copa America. Sì, avete letto bene, e sì, mancherebbe proprio quella coppa lì.
Buon mondiale a loro e a voi, godiamoceli per l’ultima volta.