Andriy Shevchenko da giocatore simbolo di una Nazione si è spesso trovato al centro di polemiche legate agli scenari politici ucraini degli ultimi 20 anni. Ma per quale motivo?
Shevchenko, il calciatore
Andriy Shevchenko, nasce a Dvirkivscyna, vicino Kiev, dove si è trasferito con la sua famiglia all’età di 3 anni e da dove è costretto a scappare dopo il disastro nucleare di Chernobyl.
Fin da giovane attira l’attenzione degli scout russi ma non riesce a superare i test di ammissione alle scuole specialistiche; arriva però la chiamata della Dinamo Kiev e il giovane Sheva inizia il percorso nelle giovanili della più importante scuola calcistica del Paese, nonché una delle più affollate dell’ex Unione Sovietica.
Il suo primo campionato professionistico è quello del 1994/95, quando, da capocannoniere della seconda squadra della Dinamo Kiev con 12 reti, esordisce nella vittoria per 3-1 contro i rivali dello Shakhtar Donetsk. Nella Dinamo di mister Lobanovskyi, fa coppia in attacco con Rebrov, permettendo ai Bilo-Syni, i biancoblu, di dominare di fatto il campionato ucraino per cinque stagioni consecutive.
La stagione 1997/98 è quella della sua definitiva consacrazione: vince campionato e Coppa Nazionale, segnando 19 gol in 23 partite in campionato.
Ma è la Champions a farlo entrare nell’élite del calcio europeo. Infatti alla prima stagionale contro il PSV, la Dinamo centra la vittoria in trasferta per 1-3 con gol di Shevchenko, che si ripete nel 2-2 casalingo con il Newcastle. Il timbro nel 3-0 casalingo al Barcellona suggella un girone d’andata strepitoso per l’allora ventunenne.
Questo è però solo l’antipasto di ciò che accadrà in Catalogna il 5 novembre 1997, prima giornata di ritorno del girone di Champions League. Sheva aiuta la Dinamo a sbancare il Camp Nou per 4 a 0, vestendo i panni dell’assoluto protagonista con una clamorosa tripletta.
Chiude infine il girone con un gol al PSV e la qualificazione agli ottavi di Champions League dove la Dinamo verrà eliminata dalla Juventus finalista.
Shevchenko si migliora nella stagione successiva, firmando 33 gol stagionali (di cui 18 in campionato) che contribuiscono a far vincere nuovamente il Double interno e a raggiungere la semifinale di Champions League, persa con il Bayern Monaco. Nell’edizione 1998/99 della Champions l’ucraino diventa anche il capocannoniere della competizione segnando 8 gol (10 se contiamo anche quelli siglati nei turni preliminari) e viene eletto miglior attaccante della stagione.
Al termine dell’anno solare, che concluderà in maglia rossonera, ottiene il terzo posto nella classifica del Pallone d’Oro dietro a Beckham e al vincitore Rivaldo.
Torniamo indietro di un anno però. Al termine del già citato Barcelona-Dinamo Kiev nella sede del Milan arriva questo resoconto: “Giocatore fortissimo fisicamente, veloce, rapido nel dribbling. È in possesso di fantasia, calcia bene con entrambi i piedi, fa gol, forte nel gioco di testa. Gioca su tutto il fronte d’attacco, sa chiamare la profondità come pochi giocatori. Considerando la sua giovane età sono rimasto impressionato per la sua facilità di gioco. È un giocatore emergente.
Superfluo aggiungere altro: È DA MILAN”
E così al termine della stagione 1998/99, Shevchenko passa al Milan neo campione d’Italia per 24 milioni di euro, divenendone, all’epoca, l’acquisto più costoso nella storia del club. Alla fine della prima stagione in rossonero il bottino è di ben 24 gol, che gli valgono il titolo di capocannoniere della Serie A. Insieme all’Ucraino, capaci di diventare re dei bomber alla stagione d’esordio, soltanto Nyers, Nordahl, Charles e Platini.
Negli anni 2000-2002 Sheva è sempre più leader del Milan: l’attaccante con la casacca numero 7 mette a segno 51 gol in 89 partite ufficiali, garantendo gol e prestazioni di livello ad una squadra che sta cercando la propria identità e rinnovando le proprie ambizioni per gli anni a venire. L’arrivo di Carlo Ancelotti sulla panchina del Milan nella stagione 2001-2002 getta le basi per quello che sarà un nuovo ciclo vincente, del quale Andriy Shevchenko sarà il silenzioso ma determinato terminale offensivo.
Sheva vive la stagione 2002-2003 in apparente chiaroscuro: se un fastidioso infortunio lo tiene spesso lontano dai terreni di gioco, limitandone l’apporto a livello contributivo in campionato a soli 5 gol in 24 partite, l’Ucraino risulta però decisivo in Europa. Nella seconda fase a gironi segna il gol che permette al Milan di vincere per 1-0 contro il Real Madrid e agli Ottavi sigla uno dei tre gol nella sfida contro l’Ajax permettendo ai rossoneri di ottenere l’accesso alla semifinale.
Una sua prodezza nel derby europeo contro l’Inter, certamente la rete più bella ed importante delle 14 messe a segno nei derby, primatista assoluto nella classifica dei bomber della stracittadina, regala al Milan l’accesso alla finale di Champions League, che mancava dal 1994/95, edizione persa contro l’Ajax di Van Gaal.
A Manchester, sede della finale 2002/03, il Milan affronta in un altro incontro made in Italy, la Juventus di Marcello Lippi, neocampione d’Italia. Dopo una gara tesa, anche a causa dei precedenti disputatisi quella stagione in serie A, 2-1 entrambe le volte per la squadra di casa, la sfida si risolve ai rigori: sarà proprio il glaciale Andriy a calciare il rigore decisivo, spiazzando Buffon, e regalando al Milan la gioia della sesta Champions League della sua storia.
La stagione 2003/04 sarà tutta all’insegna del bomber Ucraino: un suo stacco di testa decide la sfida con il Porto regalando così al Milan la quarta Supercoppa europea e il primo trofeo della stagione. In campionato Andriy è protagonista assoluto: segna 24 reti in 32 gare e mette la firma, nella partita decisiva contro la Roma, dopo appena un minuto di gioco, su assist di Kakà.
È il diciassettesimo scudetto nella storia rossonera.
Nell’agosto del 2004 il Milan e Shevchenko mettono subito in bacheca un altro trofeo: dieci anni dopo l’ultimo successo, i rossoneri conquistano per la quinta volta la Supercoppa Italiana, grazie ad una splendida tripletta del fuoriclasse ucraino. La stella di Shevchenko è sempre più luminosa: dopo anni di reti e trofei, l’ucraino viene meritatamente premiato a dicembre 2004 con il Pallone d’Oro.
Quella stagione 2004/05, iniziata tra mille proclami, termina con la sola Supercoppa Italiana in bacheca e con la cocente delusione di Istanbul. Delusione ancora peggiore per Shevchenko che dapprima si vede negare al 120° un gol che sembrava già fatto e, successivamente, sbaglia il rigore decisivo facendosi ipnotizzare ancora da Dudek, alla miglior serata della sua carriera.
Sheva e il Milan ripartono insieme la stagione seguente ma, nonostante l’approdo alle semifinali di Champions League con Andriy capocannoniere con 9 reti all’attivo, di cui quattro in una sola gara come Van Basten nel 1992, e 19 reti in campionato, l’amore tra il Milan ed il fuoriclasse ucraino sembra giunto al tramonto.
Dopo sette anni, 322 presenze e 175 gol, secondo miglior marcatore della storia rossonera dopo Nordhal, l’Ucraino ha voglia di cambiamento; le presunte pressioni della moglie Kristen Pazik, interessata ad una scuola inglese per l’avvenire dei figli, unite ai richiami londinesi del patron del Chelsea Abramovich e ad un ricchissimo contratto, convincono Sheva a lasciare il Milan nell’estate del 2006.
L’esperienza di Shevchenko al Chelsea è un disastro e i tabloid inglesi ancora oggi lo etichettano come uno dei peggiori acquisti mai fatti da una squadra di Premier. Il rapporto con Mou non decollerà mai e, dopo un magro bottino di 22 gol e 11 assist in 72 presenze, torna al Milan in prestito.
Quello che tifosi si troveranno di fronte però, non è più il giocatore che avevano ammirato e amato e le 26 presenze, quasi sempre da subentrato, condite da soli 2 gol, lo dimostrano.
Shevchenko torna nel 2009 in Ucraina e chiude romanticamente la sua carriera nella squadra in cui è cresciuto nel 2012, dichiarando che il suo futuro “non sarà nel mondo del calcio” ed esternando invece il suo apprezzamento per la carriera politica.
Il Colonnello Lobanovskyi
Dopo questo breve excursus sulla carriera da calciatore di Shevchenko, per arrivare a parlare della sua importanza per la politica ucraina dobbiamo prima soffermarci sulla figura di Valeri Lobanovskyi.
Ala sinistra con un impressionante tiro a giro e famoso per i suoi gol “olimpici”, Lobanovskyi ebbe una carriera da calciatore molto breve che termina a soli 29 anni per un diverbio con Victor Maslov, allenatore della Dinamo e inventore del 4-4-2.
L’ala accusa il tecnico di dare poco spazio alla fantasia, scelta comprensibile visto che il regime sovietico impone diktat molto rigidi anche in campo sportivo.
Così nel 1969 Lobanovskyi diventa allenatore del Dnipro, squadra sponsorizzata dalla Yugmash, l’agenzia spaziale sovietica. Sono gli anni in cui la corsa allo spazio tocca il suo apice, spostando la Guerra Fredda oltre i confini terrestri: se nel 1961 il cosmonauta russo Jurij Gagarin è il primo uomo nello spazio, nel 1969 è l’americano Armstrong a camminare per primo sulla luna.
Probabilmente Valeri Lobanovskyi pensa anche ai voli spaziali e alle incredibili potenzialità dei calcolatori mentre allena il Dnipro; per un ingegnere come lui, la tentazione di applicare un metodo scientifico ad un gioco dalle infinite variabili è irrinunciabile e non a caso, l’allenatore di Kiev sarà il primo tecnico ad utilizzare un computer, non limitandosi a quello.
Coadiuvato dal professor Zelentsov dell’Istituto di Scienze Fisiche, sviluppa un programma capace di analizzare ogni partita suddividendo il campo in 9 quadranti e calcolando i movimenti di ogni giocatore. In questo modo, secondo Lobanovskyi, sarà più facile studiare sia gli avversari che le diverse fasi di gioco.
Oltre alla parte tattica, i pionieri alla guida del Dnipro vanno ad analizzare anche quella fisica, elaborando una tabella per valutare la forma fisica dei vari giocatori, così da perfezionare gli allenamenti ed evitare sovraccarichi. La preparazione è durissima, di livello militare, come racconta lo stesso Shevchenko, in diversi aneddoti.
L’organizzazione maniacale e il carisma da ufficiale dell’Armata Rossa portano Lobanovskyi dal Dnipro alla Dinamo Kiev, divenuta, proprio grazie al suo ex allenatore Maslov, la principale squadra del paese. Qui il Colonello decide di perfezionare ulteriormente i suoi metodi affidando la preparazione a Valentin Petrovsky, trainer di quel Borzov vincitore dei 100 metri alle, tristemente note, Olimpiadi di Monaco del 1972.
I risultati sono incredibili: nel 1974 la Dinamo è la prima squadra sovietica a centrare l’accoppiata Campionato e Coppa; l’anno seguente sarà la prima ad alzare un trofeo continentale dopo aver battuto gli Ungheresi del Ferencváros 3-0 in finale di Coppa delle Coppe. Nel settembre dello stesso anno, l’Armata di Lobanovskyi supera addirittura il Bayern Monaco nel doppio confronto per aggiudicarsi la Supercoppa Europea. Menzione d’onore per il ventiduenne Blochin, che sigla un magnifico gol per l’1-0 nella semifinale di andata e una doppietta in quella di ritorno e che a fine anno solare si assicura il Pallone d’Oro, davanti a leggende del calibro di Beckenbauer e Crujff.
I risultati strabilianti arrivano fino al Cremlino e Lobanovskyi viene pertanto scelto per guidare la Nazionale Russa dopo il 1974, edizione da cui i russi vennero esclusi perché, in aperta protesta nei confronti del regime Cileno di Pinochet, instaurato tramite colpo di stato l’11 settembre 1973, non si presentarono in Cile per giocare lo spareggio per la qualificazione Mondiale.
Nel 1976 la Nazionale russa non si qualifica per la fase finale dell’europeo e raggiunge solo il terzo posto alle Olimpiadi di Montreal: un mezzo fallimento viste le enormi aspettative, tanto che Lobanovskyi abbandona la guida della Nazionale e torna alla “sua” Dinamo Kiev. La minestra riscaldata in questo caso è proficua e il colonnello torna a vincere titoli nazionali in serie e riesce addirittura nell’impresa di vincere un torneo continentale, la Coppa delle Coppe 1985/86, contro l’Atletico Madrid.
I successi nazionali riportano Lobanovskyi alla guida dell’URSS per i Mondiali in Messico del 1986, e la squadra è una delle rivelazioni del torneo. Agli Europei del 1988 a fermare il sogno russo è invece Marco Van Basten, che in finale piega i russi con un gol che ancora oggi la fisica ha difficoltà a spiegare.
Il crollo del muro di Berlino e lo smembramento dell’URSS hanno ripercussioni anche sulle prestazioni sportive dei sovietici che, specialmente in ambito calcistico, subiscono un forte tracollo. La Russia e Lobanovskyi non replicheranno più i risultati ottenuti e il C.T. dopo i Mondiali di Italia ’90 inizia un lungo peregrinare in paesi esotici, tra cui Kuwait ed Emirati Arabi.
Il suo apporto al mondo del calcio non si conclude tristemente: nel 1997 torna nuovamente alla Dinamo Kiev e incontra il suo pupillo Shevchenko, ed è proprio in questo momento che la storia dei due si intreccia e diventa inseparabile, sia sportivamente che politicamente.
Alla fine degli anni ’90 i due, assieme al resto della squadra della Dinamo Kiev, appoggiano il Partito Social Democratico di Ucraina, uno dei partiti nati dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica di cui è stato membro anche Viktor Medvedchuk, alleato del presidente russo Vladimir Putin, sospettato di aver tentato di appropriarsi delle risorse nazionali nella penisola di Crimea e oggi agli arresti domiciliari con l’accusa di alto tradimento.
Ucraina-Russia, legami e scontri
Il legame fra Shevchenko, Dinamo e Lobanovskyi ha in principio legato il nome di Shevchenko alla Russia anche per via di alcune sue dichiarazioni alquanto equivoche e soggette ad ambigue interpretazioni. Lo scontro Ucraina – Russia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si è riacceso nel 2014 quando la Russia ha annesso la penisola Ucraina di Crimea, che si allunga nel Mar Nero, annessione non riconosciuta dalla comunità internazionale. Peraltro, non si è mai conclusa la guerra del Donbass, nell’Est dell’Ucraina, tra governativi e separatisti filo-russi sostenuti da Mosca: ad oggi oltre 10 mila persone sono state uccise, nonostante il cessate il fuoco concordato nel 2015 e mediato da Germania e Francia.
Anche gli scontri per il controllo del Mar d’Azov e dello Stretto di Kerch, che lo collega con il Mar Nero a Sud, sono periodici. Le tensioni del 2003, durante la prima presidenza di Vladimir Putin, portarono all’accordo bilaterale che prevede il libero accesso di entrambi i Paesi al Mar d’Azov per fini commerciali. Kiev e Mosca hanno inoltre l’obbligo di avvisarsi a vicenda in caso di invio di imbarcazioni militari. Nel 2018 le tensioni sono ulteriormente cresciute: Kiev sempre più spesso ha accusato Mosca di bloccare le navi che salpano o si dirigono nei porti Ucraini del Mar d’Azov, in particolare Mariupol e Berdyansk, al fine di ostacolare i normali traffici commerciali.
A sua volta Mosca accusa Kiev di provocare le navi russe e definisce i controlli alle imbarcazioni Ucraine necessari per garantire la sicurezza nella regione. In particolare il porto di Mariupol, conquistato dai separatisti filo-russi nel 2014 e ripreso dalle forze ucraine, è uno snodo importante per le esportazioni di acciaio e grano e per le importazioni di carbone.
Nel Maggio 2018 inoltre Mosca ha completato il ponte da 3,6 miliardi di dollari che collega il proprio territorio alla Crimea passando sullo Stretto di Kerch: il ponte però è troppo basso per consentire il passaggio di molte imbarcazioni e Kiev ha pertanto denunciato una grave penalizzazione dei commerci.
Il conflitto è ripreso con vigore nel 2021, quando, come testimoniato da alcune foto circolate sull’agenzia di stampa Reuters e su alcuni social media, le truppe russe riunite al confine con l’Ucraina disponevano di sistemi missilistici antiaerei come Doyle e Beech, oltre ad alcuni carri armati e veicoli blindati. Il governo ucraino ha infatti affermato alla fine di marzo che l’assembramento delle truppe russe nelle sue zone di confine rappresenta una seria minaccia per la sicurezza nazionale.
Al contrario la parte russa ritiene che sia proprio perché le forze militari dei Paesi della Nato e di altre parti stanno diventando più attive nelle aree vicine al confine russo: e tutto questo ha costretto Mosca a rimanere vigile, garantendo stabilità e sicurezza dei propri confini.
Ma cosa c’entra il calciatore Andriy Shevchenko con tutto questo?
La prima novità ucraina è che Volodymyr Zelensky, il presidente eletto nell’aprile del 2019, nel corso del 2020 è passato da un atteggiamento remissivo e gregario nei confronti della Russia a uno decisamente più assertivo. Al momento della sua elezione, Zelensky aveva cercato di migliorare il rapporto con la Russia, aveva acconsentito a scambi di prigionieri e nel luglio del 2020 aveva concordato un cessate il fuoco con le milizie filorusse che fu giudicato piuttosto favorevole alla Russia.
Negli ultimi mesi però l’atteggiamento di Zelensky è cambiato: il presidente Ucraino non è certo diventato aggressivo, ma soprattutto sul fronte interno ha colpito diversi interessi russi.
In particolare, a febbraio il governo ha sanzionato il già citato Viktor Medvedchuk, leader del principale partito filorusso del paese e amico e alleato di Putin.
Secondo gli analisti, Medvedchuk era l’elemento di collegamento di moltissimi interessi russi in Ucraina, e la sua marginalizzazione dalla scena politica è stata un grave danno per la Russia.
Il governo ha inoltre chiuso tre canali televisivi di propaganda filorussa di proprietà di un imprenditore vicino a Medvedchuk. Quanto fatto ha rinvigorito lo spirito patriottico ucraino e ha fatto si che vecchie ruggini fossero riportate alla luce, tra queste la lingua parlata.
Shevchenko, che parla fluentemente il russo, parla con difficoltà l’ucraino perché negli anni 70/80 tale lingua era vietata, in ossequio alla normativa sovietica, e pertanto non è mai stata utilizzata dall’attaccante che infatti, nelle conferenze stampa, si esprime in inglese o in russo.
Lo scorso marzo aveva aperto un incontro coi giornalisti con un breve discorso in ucraino, in cui spiegava di essere determinato a rispondere alle domande sempre così in futuro: “Non sono ancora pronto a parlare in ucraino con costanza, ma lo farò in futuro”. Questa problematica è diventata sempre più ingombrante a causa della nuova politica ucraina che, come accennato, è molto più patriottica e si prefigge di utilizzare lo sport (non un’idea originale in verità) per cementificare la nuova identità nazionale.
Emblematico in questo senso è il caso relativo alla maglia da gioco preparata per EURO2020, su cui una mappa del Paese che include la Crimea, e uno slogan nella parte superiore della schiena che recita “Gloria all’Ucraina!“. All’interno della maglia invece è presente un altro slogan, “Gloria agli eroi!“. Entrambe le frasi sono usate in Ucraina come un saluto militare ufficiale.
“Crediamo che il disegno della forma dell’Ucraina darà forza ai giocatori perché lotteranno per tutto il Paese“, ha affermato il capo della Federazione Ucraina, Andriy Pavelko.
In seguito alle proteste della Russia, la UEFA ha imposto all’Ucraina di modificare la maglietta poiché veicola un messaggio politico. La UEFA ha spiegato che “Dopo aver svolto una analisi più approfondita“, questo slogan, utilizzato in occasione della ribellione popolare antirussa di Maidan, nel 2014, “è chiaramente di natura politica” e “deve quindi essere ritirato in vista delle partite di competizione dell’UEFA“.
Shevchenko, il politico
Shevchenko non è poi nuovo alle polemiche politiche e, già nel 2004, a causa del pubblico appoggio dato a Yanukovich, avversario del riformista Yushchenko, fu criticato da diversi suoi connazionali, che lo descrissero come una pedina del Cremlino. Proprio dall’iniziale sconfitta elettorale del partito riformista filo-occidentale, seguita dalle violente accuse di brogli, nacque la cosiddetta Rivoluzione Arancione, che riportò Kiev sulla strada verso l’Europa, la NATO e il suo ambiguo presente nazionalista.
Durante questo periodo turbolento lo status di eroe di Shevchenko ha subito un colpo pesante confermata dai tifosi che con striscioni con su scritto “La tua scelta ha fatto piangere la nazione” hanno manifestato la loro disapprovazione per il beniamino sportivo.
È complesso immaginare quando quegli atteggiamenti di Sheva siano ancora oggi ricordati e rinfacciati in Ucraina. Nel momento in cui ciò si è verificato gli attacchi verso l’uomo e non verso il calciatore furono facili e dettati soprattutto dai legami sportivi creati dall’attaccante.
L’amicizia con Silvio Berlusconi, presidente del Milan negli anni d’oro della sua carriera e padrino del suo primo figlio, oltre che primo e maggiore alleato europeo di Vladimir Putin durante gli anni di Governo e il passaggio al Chelsea dell’oligarca russo Roman Abramovic sono state fondamenta solide per i detrattori in patria. In merito al rapporto con il patron di Gazprom, la stampa ha spesso suggerito ci fosse un rapporto speciale che andasse oltre quello di lavoro, adducendo la vicinanza per questioni linguistiche. Shevchenko ha ripetutamente smentito, “Forse dovrei smettere di parlare russo”.
Nel 2012, a seguito dell’Europeo di Ucraina e Polonia terminato con l’eliminazione ai gironi Shevchenko si presentò in conferenza stampa con una dichiarazione shock: “Forse, scioccherò tutti: il mio futuro non ha nulla a che fare con il calcio. È legato alla politica”.
Così, conclusa la carriera calcistica, l’ex Pallone d’Oro del Milan ha deciso di scendere in campo con il partito ‘Ukrajina – Vpered!’, pagando di tasca propria 10 milioni di hryvnias (circa un milione d’euro) per finanziare la campagna elettorale della sua formazione in vista delle elezioni legislative. “Come calciatore credo di aver fatto molto per il mio paese e ora ho preso la decisione di entrare in politica perchè vorrei fare il bene dell’Ucraina“.
‘Ukrajina – Vpered!‘ nonostante si presentasse come una forza d’opposizione, fu da subito sospettata di fare il doppio gioco, favorendo il presidente allora in carica Yanukovich.
Si avanzò addirittura l’ipotesi che il suo obiettivo reale fosse quello di convincere gli elettori di Youlia Timoshenko, che potevano farsi condizionare dall’amore per l’ex rossonero e quindi votarlo.
Su internet da subito apparvero accuse nei confronti di Shevchenko, tra cui l’essere stato pagato per candidarsi con ‘Ukrajina – Vpered!‘, accusa appunto rappresentata nella vignetta pubblicata nell’agosto 2012 del Kiev Post che lo ritrae assieme a Rooney e CR7 in fila ad un banchetto dove Natalia Korolevska lo sta iscrivendo al suo partito.
Shevchenko rifiutò da subito con sdegno l’accusa di essere stato pagato per entrare a far parte del partito che rappresentava “Assolutamente non ho preso soldi o finanziamenti – sottolineò l’ex calciatore – Nel corso della mia carriera sportiva mi sono guadagnato la fiducia di una buona parte del mio popolo, e per me questa è la cosa più preziosa. Non potrei mai perderla prestandomi a certi giochi“.
L’esito dell’avventura politica non fu però a lieto fine poiché le legislative del 2012 furono una vera batosta per il partito con cui si era candidato, che si fermò all’1,6% nel proporzionale, un risultato ben lontano dall’obiettivo prefissato di superare la soglia di sbarramento del 5% e portare qualche candidato in Parlamento.
Il passo indietro e il ruolo di Commissario Tecnico
Quattro anni dopo la debacle politica Sheva decise di tornare sui suoi passi e, contraddicendo quanto detto nel 2012, decise di dare un futuro calcistico alla sua carriera professionale assumendo il ruolo di Commissario Tecnico della Nazionale Ucraina ruolo che però ha assunto anch’esso una veste politica rilevante nel paese.
L’Ucrainizzazione della nazione ha portato infatti all’esclusione dai convocati di diversi elementi di spicco della Nazionale degli anni passati perché non più accettati a causa della squadra di club di appartenenza.
Uno di loro è ad esempio Yaroslav Rakitskiy, giocatore con 54 presenze nella Nazionale maggiore ed escluso dalla stessa nel 2018 proprio a causa del suo passaggio dallo Shakhtar Donetsk allo Zenith San Pietroburgo, squadra vicina al Premier russo Vladimir Putin. Rakitskiy stesso, un anno dopo l’esclusione ha riversato su Instagram la propria rabbia pubblicando un post su Instagram con un testo abbastanza eloquente: “Il calcio si è politicizzato: è la paura e non il talento a guidare chi seleziona i giocatori per la Nazionale” riferendosi dunque al fatto che le scelte di Shevchenko siano state indirizzate dalla politica e non dal campo.
Allo stesso modo vanno lette anche le dichiarazioni di Yaremchunk che, ad una domanda postagli nel 2019 circa un suo possibile trasferimento allo Zenith San Pietroburgo nel caso gli avessero offerto 5 milioni di euro all’anno, rispondeva secco “No. È una bella domanda, ma nella situazione di oggi non andrei. Al cento per cento. Ho tutto ciò di cui ho bisogno nella vita e questo mi basta“.
In questo contesto sportivo-politico Shevchenko ha comunque mostrato delle indubbie abilità da allenatore e, dopo aver fallito la qualificazione per i Mondiali del 2018, l’ex attaccante del Milan ha guidato la sua Nazionale alla conquista della promozione nella Lega A della Nations League e alla qualificazione a Euro 2020. Nella competizione Europea è stato fermato dall’Inghilterra soltanto ai quarti di finale, miglior risultato di sempre nella storia dell’Ucraina, risultato in cui risiede la speranza di aver messo fine alle accuse che lo dipingono nemico della Patria, riappacificandosi attraverso quanto di meglio conosca: il Calcio.