Scritto da Storie

The rumble in the jungle

Una cosa divertente che non vedremo mai più
6 min

Ve lo ricordate Takayuki Morimoto?

Nei suoi anni in Italia, i cronisti giuravano che in patria fosse definito “il Ronaldo del Sol Levante” – e stiamo parlando di Ronnie il Fenomeno -, auspicabilmente più per la somiglianza fisica che per le affinità tecniche con il fuoriclasse brasiliano. 

La carriera di Morimoto in Italia è stata assimilabile a quella di molti nuovi arrivi esotici a cui il calcio italiano a cavallo tra i due millenni ci ha abituato. Sbarcato con i crismi del crack in grado di rivoltare il campionato, ha finito per attraversare tutto lo spettro delle scommesse non mantenute. Campagna mediatica sopra le righe, primi gol ad un’età precocissima, inevitabile serio infortunio che ne pregiudica una o più stagioni, ritorno in tono minore, valzer di prestiti in squadre più o meno ambiziose, emigrazione di ritorno in patria o in campionati alla periferia dell’impero.

Takayuki Morimoto
Effettivamente la dentatura lasciava poco spazio alle interpretazioni (📷/Getty Images)

Eppure il buon Takayuki è stato – volente o nolente – testimone e spettatore interessato di un unicum nella storia recente del calcio italiano. Accade tutto nel giorno del Signore 26 agosto 2007, prima di campionato. I protagonisti sono due allenatori: uno reso famoso da un serie di risultati sorprendenti alla guida di una provinciale, pur contraddetti dalle ben più modeste fortune ottenute negli anni successivi; l’altro addirittura all’esordio in serie A. Il campo di gioco, il Tardini di Parma. Il risultato della partita, due a due. Risultato fuori dal campo: cinque turni di squalifica, tre richieste di scuse pubbliche, due conferenze stampa, un calcio nelle terga.

Le montagne russe di Silvio Baldini

Silvio Baldini è sempre stato considerato un sanguigno. Sarà per la provenienza toscana (è nato a Massa nel 1958), sarà per l’abitudine a guidare squadre di poco blasone ma destinate a giocarsi partite e salvezze con le proverbiali unghie e i proverbiali denti, sta di fatto che l’immagine di Baldini nel panorama del calcio nostrano si è sempre contraddistinta per un certo grado di veracità. Il suo nome nel #calciocheconta inizia a circolare nella stagione 1997/98, quando guida il Chievo Verona pre-Delneri nel campionato di serie B. L’anno successivo, l’Empoli decide di puntare su di lui per sostituire Gustinetti (off topic: e Gustinetti? Ve lo ricordavate Gustinetti?) a novembre. 

Seguono due anni di onesta manovalanza nella Cadetteria, poi nel 2000/01 arriva l’exploit: un quinto posto che sa di beffa, in un momento storico che prevedeva la promozione diretta per le prime quattro classificate. Niente paura, basta riprovarci l’anno successivo. E infatti l’Empoli 2001/02 conquista la promozione in A come quarta classificata, dietro al Como – che nella stagione successiva frantumerà qualsiasi record negativo del massimo campionato (seppur doppiato a soli dodici mesi di distanza dal mai dimenticato Ancona di Jardel) – al Modena ed alla Reggina.

Il 2002-03 consegna all’Empoli una salvezza più tranquilla di quanto ci si aspettasse, e Baldini decide che il suo ciclo nel borgo toscano è finito. Decide di accettare la corte di un Palermo determinato a vincere il campionato di serie B. Ma Palermo negli anni Duemila significa anche Zamparini al pieno delle sue facoltà. E infatti, a gennaio, con la squadra terza in classifica, Baldini viene esonerato.

Forse a causa della delusione, Baldini attraversa un paio d’anni avari di soddisfazioni (e di risultati): arrivano in sequenza due subentri e due esoneri con Parma e Lecce. L’opportunità di riscatto però non tarda a palesarsi: nell’estate 2007 l’ambizioso Catania reduce da una soddisfacente salvezza in A decide di puntare su di lui dopo la seconda esperienza con Pasquale Marino. Il nostro accetta di buon grado, determinato a prepararsi al meglio all’esordio in campionato previsto per quel fatidico 26 agosto.

Silvio Baldini
Il volto di chi ne ha passate tante, il fisico di chi ha sempre apprezzato la carne rossa (📷/Getty Images)

L’estemporanea ascesa di Mimmo Di Carlo 

Più breve – non fosse che per motivi anagrafici – la storia da allenatore di Domenico Di Carlo detto Mimmo. Il nativo di Cassino (profonda Ciociaria) deve la sua prima notorietà alla carriera di calciatore. È infatti il capitano di quel leggendario Vicenza che, illuminato dall’indolente classe di Lamberto Zauli, raggiunge la semifinale di Coppa delle Coppe nella stagione 1997/98.

Vi rendete conto che il Chelsea in dieci anni è passato dal subire gol da Pasquale Luiso
al giocarsi una finale di Champions contro Ronaldinho?
Di Carlo e Guidolin
Tricologicamente parlando, sia Di Carlo che il suo allenatore al Vicenza Francesco Guidolin ci hanno indiscutibilmente guadagnato dall’incedere dell’età (📷/Getty Images)

La sua carriera in panchina prende il via nel mezzo della Pianura Padana. A partire dal 2003/04 guida infatti il Mantova del presidente Fabrizio Lori (un influencer ante-litteram) in una poderosa quanto sorprendente cavalcata che porta la squadra dalla serie C2 alla finale playoff per la serie A, persa non senza polemiche contro il primo Torino di Urbano Cairo nel giugno 2006.

Conclusa l’esperienza nella terra di Virgilio – comunque ancora carica di soddisfazioni, visto che nel 2006/07 il Mantova si concede il lusso di battere le tre future promosse Napoli, Genoa e Juventus (sì, c’è stata una serie B con Napoli, Genoa e Juventus) – Mimmo Di Carlo finisce inevitabilmente nel mirino di molte società di serie A. La spunta il Parma, che gli affida la prima squadra per la stagione 2007/08. 

Quella ducale è una compagine reduce dall’esperienza con Claudio Ranieri, che nell’estate 2007 saluta tutti e se ne va: ha infatti deciso di accettare la corte della Juventus appena risalita dall’anno di purgatorio in Serie B post-Calciopoli, che lo vuole per sostituire un Didier Deschamps che non ha convinto la dirigenza (sic transit gloria mundi).  Mimmo nostro viene accolto con i legittimi dubbi accostati al debuttante, mitigati dalla fiducia di chi non ha molto da perdere. Decollo previsto, l’ormai proverbiale 26 agosto 2007.

Si scrive “Stadio Tardini”, si legge “Oratorio del Santo Spirito”

A Parma, in agosto, fa caldo. Dopotutto siamo ancora in quella Pianura Padana famosa per essere prima esportatrice, oltre che d’inquinamento e zanzare, di un tasso d’umidità biblico. Fa caldo, è la prima di campionato, e inevitabilmente col passare dei minuti la lucidità verrà meno. Probabilmente Parma e Catania ne sono consapevoli, e per questo decidono di partire forte: la partita di fatto si gioca tutta nel primo tempo. Le due squadre non hanno altre ambizioni che non siano la salvezza, e questo giova a una partita di inizio campionato tra due formazioni del medesimo livello: entrambe cercano di vincere, per speculare sugli zero a zero c’è tutto un campionato davanti. 

Il primo tempo si chiude con un due a due carico di emozioni e ribaltamenti. Guarda un po’ le coincidenze, il primo gol della partita lo segna proprio quel Takayuki Morimoto di cui sopra, imbeccato da un Giuseppe Mascara che di quel Catania è il faro tecnico, e che come il giapponese ha in dotazione un bel paio di generosi incisivi. Rispondono Pisanu e Marco Rossi (no, non il carismatico capitano del Genoa, quell’altro), chiude Baiocco al tramonto della frazione.

Il secondo tempo più che agonistico è agonico. Sia per i ventidue in campo che per le panchine. Il caldo, la stanchezza, il nervosismo. Baldini e Di Carlo camminano avanti e indietro nelle rispettive aree tecniche. Richiamano. Indicano. Gridano. Battibeccano. Soffiano come cigni che vedono minacciati i loro pulcini sparsi sul prato del Tardini. È solo la prima di campionato, ma nessuno dei due vuole perdere e a entrambi solletica molto l’idea di vincere.

Più si avvicina il fischio finale, più il nervosismo sale di intensità. Fino ad esplodere del tutto al 39’, consegnando una dimenticabilissima prima giornata di campionato all’immortalità dei Grandi Momenti di questo sport: 

Di risse e zuffe il mondo del calcio è pieno. Anche di calci e calcioni: basti pensare all’intervento di sacrosanto kung-fu da parte di Eric Cantona ai danni del tifoso del Palace, o al più recente e meno nobile tentativo di amputazione da parte di Francesco Totti sullo strafottente Balotelli interista. Quello che però piazza la pedata di Baldini a Di Carlo nell’Olimpo Dei Calci Da Ricordare è la sua dinamica così oratoriale.

Osservando le immagini, si può notare come i due si mandino a quel paese vicendevolmente a ritmo serrato: “vai a cagare”, “no, vai a cagare te” (peraltro, questa è la ricostruzione operata dallo stesso Mimmo Di Carlo). Poi, per chissà quale motivo, Baldini decide che non è abbastanza, che serve una sua ultima parola, una sua ultima firma. E piazza la zampata.

Non è un calcione di quelli determinati a fare male, non è nemmeno uno sgambetto con lo scopo di far mangiare la polvere all’avversario. No, è proprio un allungo in extremis, scagliato quando già Di Carlo si stava allontanando. Un colpo di coda – anzi, di punta – che somiglia nella sua goffa dinamica a un affondo di scherma. Ma non un affondo elegante, fatto con strategia. E’ al contrario, un colpo alle spalle, scagliato con la volenterosa scaltrezza del malandrino che cerca di colpire senza farsi vedere, o almeno senza essere alla portata di una risposta. 

Nonostante vari tentativi, in questo calcio non riesco a vedere niente di violento in termini di volontà di arrecare danni o dolore ad un avversario: ci vedo quella determinazione che si aveva da bambini nell’avere l’ultima parola quando si litigava con qualcuno. “Specchio-riflesso”. “Una volta più di te all’infinito-stop”.

Un calcio nel culo di punta. Baldini e Di Carlo diventano immortali perché nella loro furia più cieca regrediscono a quello che è ognuno di noi quando guarda o gioca a pallone: due ragazzini che vogliono vincere. Non gli puoi volere male, li puoi sgridare e mandare in castigo, ma mentre lo fai stai già ridendo di loro. Non fosse che sono adulti, li perdoneresti e ti aspetteresti di vederli salire l’uno sulle spalle dell’altro per raccogliere l’uva dalla pianta del vicino. Quei due monelli.

Ovviamente, dopo un tale episodio il mondo del calcio si scopre purista e purissimo, e lancia strali, straccia vesti, auspica giustizia esemplare. Interviene perfino Pippo Baudo che da catanese scaglia il proprio anatema contro l’orco Baldini, reo di aver rovinato la reputazione della città etnea.

Dalla Domenica Sportiva a Controcampo fino alla carta stampata, non si contano gli interventi di biasimo e condanna – sacrosanti, fin per carità – aggravati dalle dichiarazioni del Baldini stesso, che in un primo momento non si prodiga in quello che è l’unico mezzo di redenzione approvato dal discorso pubblico: il pentimento su pubblica piazza. Anzi, rincara la dose: «A lui [Di Carlo] non chiedo scusa perchè non lo merita – dice -. Mi ha provocato, ho reagito a una provocazione».

A risolvere la situazione ci pensa nientepopodimeno che il compianto Aldo Biscardi. È all’interno del suo Processo (in quegli anni di decadenza relegato alle frequenze di 7 Gold) che finalmente Baldini si convince: «Chiedo scusa a Di Carlo e gli stringo idealmente la mano».
Lo scandalo rientra, i toni si ammorbidiscono, Catania e Parma possono tornare a battagliare là dove sono nate per farlo, sul campo. Grazie Aldo, ti dobbiamo anche questa.

Aldo Biscardi ed il suo "Processo"
Sono Biscardi, risolvo problemi (📷/Getty Images)

Baldini e Di Carlo proseguiranno le rispettive stagioni senza ottenere grandi risultati. Dove per “senza ottenere grandi risultati” si intende che verranno entrambi sostituiti a stagione in corso. Baldini condurrà bene il suo Catania fino alla fine del girone d’andata, per poi arenarsi in una striscia di 7 punti in 12 gare che gli costerà la panchina. Al suo posto, un rampante Walter Zenga riuscirà ad ottenere la salvezza solo all’ultima giornata e grazie a una fortunata combinazione di risultati.

Con un girone d’andata chiuso a diciotto punti, fa quasi specie sapere che Di Carlo riuscirà a rimanere sulla panchina del Parma fino a marzo, quando la pesante contestazione della tifoseria indurrà la società ducale a sostituirlo con Hector Cuper. (Ripetiamo: Hector Cuper). L’hidalgo resisterà fino ad un surreale esonero prima dell’ultima giornata, in favore del tecnico della Primavera Andrea Manzo. Alla trentottesima, per salvarsi il Parma si troverà costretto a vincere contro l’Inter di Mancini e Ibrahimovic.  Sarà serie B, per la prima volta in diciotto anni.

A entrambi, il merito di averci inconsapevolmente ricordato che il calcio è una cosa drammaticamente seria, soprattutto quando ci fa regredire ai bambini ostinati e rancorosi che per sempre rimarremo. 

 Fun-facts dopo I titoli di coda

1) Nel ruolo di quarto uomo di quel Parma-Catania, troviamo l’attuale responsabile VAR Nicola Rizzoli. Nei reperti video e foto relativi alla zuffa, lo possiamo riconoscere mentre cerca di arginare la generosa mole di Silvio Baldini, in un seducente seppur goffo pas à deux. Il ragazzo tutto sommato ha fatto strada.

2) Il tenore oratoriale dello scontro tra titani avvenuto al Tardini ci viene inconsapevolmente confermato dalla bordocampista di Sky, che in diretta si lascia sfuggire un “Madonna!” che sa di spontaneità e di sconfitta. A oltre dieci anni di distanza, il nostro sentimento è di solidarietà misto ad invidia per aver assistito così da vicino a un momento così segnante per il progresso umano.

3) Takayuki Morimoto è ancora un calciatore in attività, d’altronde ha ancora 31 anni. È tornato a giocare in patria, all’Avispa Fukuoka, serie B giapponese. Indossa la maglia numero 15. Nella sua ultima intervista prima di salire sull’aereo che lo riportava in Giappone, ha detto ai cronisti: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Gol di tacco di Biagianti in una trasferta a Trieste. E ho visto le punizioni di Spinesi balenare sopra le traverse delle porte del Massimino. E tutti quei momenti andranno perduti, come la scarpa di mister Baldini contro le chiappe di Di Carlo.»

Una di queste ultime affermazioni probabilmente non è vera.

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